lunedì 15 gennaio 2018

6 - Varcare il Rubicone: il fatale dado di Cesare



Cesare matura la convinzione che l'architettura istituzionale della repubblica, adeguata ai tempi di  una città stato, non sia in grado di amministrare in modo efficiente ed equilibrato un vasto impero mediterraneo, forse avviato a diventare uno stato i cui confini abbraccino l'intero ecumene. Porta avanti allora un piano coerente e sistematico per scardinare questo sistema, saldamente protetto dalla élite senatoria degli ottimati, poggiandosi sull'altro grande attore della storia romana: il popolo. La parte dei conservatori, in questo capitolo, è recitata da personaggi del calibro di Marco Tullio Cicerone, Marco Porco Catone il giovane (poi noto con l'appellativo 'uticense', dal luogo in cui si suicidò) e dai cesaricidi Bruto e Cassio. Tra i conservatori il nome di Gneo Pompeo, in fondo, stona:  in effetti, è solo la sua personale contrapposizione a Cesare che lo costringe a militare tra le file degli ottimati, quando invece la natura della sua azione politica appare non dissimile, per finalità e metodi, da quella dello stesso Cesare. Anzi, si può sostenere in modo convincente che il primo romano ad assumere pose caratteristiche di quello che in seguito sarà definito 'imperatore' è proprio Pompeo.
Dopo aver fatto di sé un eroe popolare ed aver sgominato tutti i suoi nemici, Cesare tentò la strada della pacificazione nazionale esercitando la sua proverbiale clementia. Non aveva fatto i conti con quanto profonde fossero le risonanze che il sostantivo 'dittatore' generava nell'animo dei Romani più sensibili e dalla memoria storica più salda. Lascia ai suoi successori una lezione imprescindibile sul valore politico della propria immagine personale. Una lezione che qualcuno è già pronto a raccogliere...

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