venerdì 13 dicembre 2019

6 - ‘Ridicolo’?! Ma tutto questo, madame... è Versailles!

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La parola 'Versailles' evoca un mondo fiabesco, lontano dalla nostra esperienza: una reggia maestosa, un giardino incantevole, ombreggiato da migliaia di alberi, aiuole di fiori delicati, giochi d'acqua e intriganti piscine dove inscenare battaglie navali o ricreare città come Venezia; e ancora, stanze opulente, affrescate nei modi più estrosi, all'interno delle quali frusciano abiti sgargianti indossati da bellissime dame di corte, salotti adibiti a gioco d'azzardo, teatri privati, gallerie di vetri e specchi, sontuosi banchetti, feste fantasiose, ecc. Una cosa è certa: Versailles è una straordinaria macchina - direi quasi 'teatrale' - di rappresentazione del potere e di esaltazione di un ceto, quello aristocratico, narcisisticamente innamorato della propria immagine riflessa. Ma in che modo e per quali finalità viene edificata la reggia di Versailles?
Il progetto è concepito e realizzato direttamente da Luigi XIV a partire dal 1660, a celebrazione della propria magnificenza. In gioventù il re di Francia aveva subito lo choc della precipitosa fuga da Parigi sotto l'infuriare delle rivolte passate alla storia come 'fronde'. Il cardinale Mazarino, coordinatore del consiglio del re durante la minorità di Luigi, era riuscito ad avere ragione degli insorti, maneggiando con abilità concessioni e repressione. Una volta vinta la guerra dei Trent'anni sia sul confine orientale, contro l'Impero, sia sul confine occidentale, contro la Spagna, e morto Mazarino, Luigi XIV decise che avrebbe amministrato il potere in prima persona e che lo avrebbe fatto senza più confrontarsi con le forze sociali. Di qui la scelta di allontanare il centro decisionale dall'odiata Parigi a Versailles, in un luogo solitario dove la corte non potesse più essere prigioniera delle insurrezioni di piazza. La reggia di Versailles fu sin dall'inizio concepita come uno strumento di disciplinamento e di subordinazione sociale destinato alla grande nobiltà del regno, che nei momenti di difficoltà della monarchia aveva ancora la forza di costringere il sovrano alla trattativa. Luigi XIV dispose che l'aristocrazia dovesse risiedere a corte e progettò un sofisticatissimo gioco di società che obbediva alle regole dell'etichetta. In ragione del proprio grado, bisognava ostentare un certo tenore di vita a corte, cosa che rendeva la vita a Versailles dispendiosissima. A compensazione di queste spese, la grande nobiltà godeva del privilegio di avvicinarsi e, nei casi più felici, di interagire con la coppia reale, diretta emanazione del potere divino in Terra. L'etichetta sanciva in modo sottilmente codificato tutti i comportamenti consentiti e le precedenze da esercitare sugli altri membri della corte. Ma non c'era un giorno uguale all'altro, giacché il re stesso curava quotidianamente la redistribuzione dei favori, concedendone ad alcuni e sottraendone ad altri. La competizione, a Versailles, non mancava, anche se non va dimenticato che la vita nella reggia consentiva di godere di tutto quanto il meglio il regno di Francia produceva in quell'età.
Dà un'idea dell'incredibile impegno tecnologico profuso per la costruzione di questo grande gioco di società il meccanismo che garantiva magnifici zampilli d'acqua da tutte le fontane del parco. Per garantire che gli zampilli raggiungessero altezze stupefacenti, in assenza di elettropompe, si provvedette alla realizzazione di una gigantesca pompa idraulica, la macchina di Marly, che prelevava l'acqua dalla Senna a pochi chilometri da Versailles, e la pompava incessantemente in una conduttura che, attraverso stazioni intermedie, la faceva pervenire al sommo di una collinetta a circa 160 metri di altezza. Di lì, l'acqua giungeva attraverso un acquedotto a Versailles, senza neppure deturpare il paesaggio, giacché percorreva gli ultimi metri sotto terra. Attraverso lo sfruttamento del principio dei canali comunicanti, Luigi XIV poté così avere il proprio divertimento.
Oltre a Versailles c'è un'altra opera titanica di cui Luigi XIV si fece promotore, un vecchio progetto più volte aggiornato e mai realizzato: il Canal du Midi. Si trattava di un'opera di ingegneria idraulica veramente grandiosa, che prevedeva la realizzazione di una rete di canali artificiali, congiunti opportunamente a fiumi naturali, con lo scopo di consentire il passaggio delle navi dal Mediterraneo all'oceano Atlantico, senza dover circumnavigare la Spagna. I problemi tecnici e realizzativi posti dall'opera erano tali da scoraggiare un altro re, ma non Luigi XIV, che in effetti lo portò a termine e ci ha così lasciato uno dei tanti patrimoni culturali dell'umanità che la nostra Europa può a buon diritto vantare...

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lunedì 2 dicembre 2019

5 - Nel tempo di Renzo e Lucia: streghe, untori, carestie



Quella di Renzo e Lucia è un'età di grandi contraddizioni e di grandi trasformazioni, che ridisegnano il profilo dell'Europa. Si abbassa definitivamente il sipario sui paesi mediterranei, che avevano dominato la scena durante il basso Medioevo e il primo secolo della modernità. La Spagna, che non ha saputo investire l'immensa ricchezza del Nuovo Mondo in un apparato produttivo duraturo, sembra frastornata, incapace di comprendere le ragioni del suo declino, le quali si manifestano chiaramente con la sconfitta subita ad opera della Francia nel lungo e sanguinoso conflitto noto con il nome di guerra dei trent'anni; l'Italia, che è ancora nei primi decenni del '600 una potenza culturale e artistica, assiste impotente al declino della sua manifattura tessile, mentre l'economia si avvita sotto il pesante fiscalismo imposto dall'ex potenza globale in crisi - la Spagna - ad un paese che è una semplice colonia. Mentre l'Atlantico diventa l'angolo di mondo nel quale è necessario esserci per vincere la sfida della competizione fra stati, il Mediterraneo perde la propria centralità, anche se mantiene volumi consistenti di traffico merci: il punto è che a trasportare le spezie non sono più le repubbliche marinare italiane, bensì paesi giovani, dinamici, nei quali vive una borghesia piena di idee e dalla spiccata vocazione imprenditoriale, come l'Olanda. Proprio quest'ultima saprà difendere strenuamente la propria indipendenza contro la Spagna, indotta a rompere la tregua del 1609 dalle fulminanti vittorie contro la Lega evangelica, e alla fine trionferà ottenendo il riconoscimento della propria libertà e lo status di nuova potenza globale.
Per due paesi che scivolano verso il basso, sono diversi i paesi che fanno passi avanti e conquistano il centro del palcoscenico: in primo luogo l'appena citata Olanda. In questa fase storica, le Province Unite non si accontentano di lottare per la libertà, ma si proiettano verso l'esterno e finiscono per sostituirsi al Portogallo, il quale - a sua volta - in questi anni riconquista la propria indipendenza dalla Spagna: gli olandesi si appropriano della consolidata rete di scali e empori commerciali che garantiscono la circumnavigazione dell'Africa e l'approvvigionamento di spezie direttamente dalle zone di produzione nell'estremo Oriente. Poi si spingono avanti, penetrando in mercati sempre più lontani ed esotici, come l'Indonesia. Anche il Baltico è un mare saldamente in mani olandesi. L'Inghilterra fa progressi ampliando i propri domini coloniali nel nord America ed alimentando un incessante flusso migratorio di popolamento, costituito in particolare da minoranze religiose (ad esempio i Pilgrim Fathers). La Francia è concentrata nella tradizionale lotta contro gli Asburgo, che è coronata da successo, ed ha poche risorse da investire nell'ampliamento delle colonie. Guadagna comunque la Giamaica, strappata alla Spagna, ed esplora i territori del nord America che diventeranno un giorno il Canada. Ma nell'Europa continentale, dopo il 1660, non teme rivali ed inaugura due secoli di grandeur, da cui si sveglierà bruscamente nel 1870 con la sconfitta di Sedan ad opera della Germania.
Ma l'evento storico fondamentale del '600 per il nostro continente è la guerra dei Trent'anni: scoppiata come terzo tempo delle guerre religiose europee (ricordiamo gli altri due: I^ tempo: Carlo V contro Lega di Smalcalda; II^ tempo: guerre di religione in Francia, Spagna e Inghilterra), terminerà come una semplice guerra di egemonia sull'Europa. I successi cattolici della prima fase producono la mobilitazione di un vasto e variegato fronte protestante, formato da paesi come Inghilterra, Olanda, Danimarca, Svezia, che subiscono però sempre una sconfitta. La musica cambia con l'intervento di un paese cattolico, la Francia, guidato, per  colmo d'ironia, da un ecclesiastico, il cardinale Richelieu, che avrà la meglio sull'arroganza asburgica. Il risultato?  Il tramonto definitivo della prospettiva di un sacro romano impero universale; l'impossibilità di fatto di costruire una Germania unita ed accentrata; il crollo delle speranze di superare la frattura religiosa; l'Europa ridotta ad un campo di battaglia: un continente che paga i conti della guerra affrontando il duro tempo delle carestie e delle pestilenze, mentre infuria la caccia alle streghe e agli untori. Uno scenario tragico, avvolto in un'oscurità nella quale si dissipano antiche ricchezze mentre nell'ombra si preparano i futuri dominatori del mondo...

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martedì 19 novembre 2019

4 - Complotti, massacri, penitenze e teste mozzate: l'età buia del sospetto

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La riforma protestante nasce come un moto di ribellione nei confronti della corruzione della Chiesa e con lo scopo di ricompattare il fronte cristiano intorno all'obiettivo religioso del ritorno alle origini. Il modello di società da prendere ad esempio pare, agli occhi dei protestanti, quello rappresentato dalla micro comunità formata da Gesù e dai dodici apostoli, fondata sulla semplicità, sulla povertà, sulla condivisione, sulla solidarietà, sulla pace. Se però valutiamo gli effetti concreti che la riforma protestante ha prodotto in Europa, ci rendiamo conto che lo slancio ideale di partenza ha generato un frutto avvelenato: guerre di religione in parte combattute a viso aperto sui campi di battaglia, ma anche una lunga età di fanatismo sotterraneo, di complotti, di massacri, di esecuzioni capitali, in un clima ossessivo di sospetto e di paura. In questa lezione faremo una panoramica riguardo alla situazione politica europea all'indomani della rottura della cristianità per le riforme luterana, anglicana e calvinista. Dovremo tener presente che la questione religiosa si sovrappone allo sforzo portato avanti da diverse monarchie europee di esercitare un potere tendenzialmente assoluto sui rispettivi stati, e della convinzione diffusa nella cultura del tempo che l'uniformità religiosa di un popolo costituisse il terreno più fertile per far attecchire l'assolutismo. D'altro canto la religiosità protestante, in particolare il presbiterianesimo, interferiva programmaticamente con l'esercizio del potere assoluto, là dove insegnava agli individui a rifiutare un'imposizione gerarchica dall'alto a tutto vantaggio di una investitura popolare dal basso per i ruoli di responsabilità all'interno di una comunità. A complicare ulteriormente il quadro c'è poi l'intricata rete di relazioni parentali praticamente tra tutte le monarchie europee, e la politica matrimoniale usata come strumento principe per influenzare dall'esterno la confessione religiosa di un Paese.
Se in Germania, dopo la pace di Augusta (1555) e l'abdicazione di Carlo V (1556), la situazione è tranquilla, almeno per alcuni decenni, lo stesso non si può dire per la Francia, l'Inghilterra-Irlanda e la Spagna. In Francia la monarchia vive un lungo periodo di debolezza a causa della morte prematura di diversi re consecutivi, per cui l'esercizio del potere passa nelle mani della regina madre Caterina de' Medici (per giunta straniera). La riforma macina fedeli anche qui, al punto che gli ugonotti giungono a pesare per il 20% sulla popolazione totale della Francia e sono in maggioranza in vaste aree del Paese; oltre a questo, sono organizzati e combattivi, anche perché godono del sostegno di alcune importanti famiglie aristocratiche, fatto che non stupisce perché era già avvenuto in area tedesca con il luteranesimo. La debolezza della monarchia ed una politica incerta ed ondivaga finiscono per esasperare il conflitto fra cattolici e ugonotti: conflitto non privo, peraltro, di risvolti politici. La notte di san Bartolomeo è certamente un eccidio che passa alla storia. Solo l'incredibile voltafaccia di Enrico IV di Borbone, capo della fazione ugonotta che disinvoltamente abiura passando al cattolicesimo, consente alla Francia di ritrovare pace e stabilità: l'editto di Nantes, o di tolleranza, promette una pacifica convivenza fra cattolici e protestanti, ma significativamente la colpa di aver imposto la tolleranza è lavata con il prezzo alto dell'assassinio del re ad opera di un fanatico.
In Inghilterra, dopo la morte di Enrico VIII, salgono al trono alternativamente sovrani anglicani e sovrani cattolici, ciascuno dei quali opera per disfare quello che è stato cominciato o per ripristinare ciò che era stato smantellato. La confusione è grande fino a quando l'ascesa di Elisabetta I Tudor fa pendere definitivamente il piatto della bilancia a favore dell'anglicanesimo. Ma non si dimentichi che l'Irlanda rimane cattolica e che in Scozia ritorna, dopo aver soggiornato per anni in Francia, una regina che è cattolica e si adopera con tutta se stessa per riportare il suo Paese al cattolicesimo. Questa regina, vedova del re di Francia, si chiama Mary Stuart. Sulla sua strada incontra un predicatore puritano, John Knox, che ha già infiammato il popolo portandolo al protestantesimo e che non perde occasione per attaccarla personalmente, screditandola agli occhi dei suoi sudditi. Ed in gioco non è solo il futuro della Scozia, ma anche dell'Inghilterra che è, sì, in mano dell'anglicana Elisabetta, ma la cui corona, tolta di mezzo Elisabetta, potrebbe unificarsi con quella di Scozia accentrando il potere nelle mani di Mary. Per questo intreccio di interessi, a cui non sono estranei paesi cattolici come la Spagna e la Chiesa, si arriva al paradosso di assistere ad una regina che fa eseguire una sentenza di morte nei confronti di un'altra regina, alla quale è, tra l'altro, imparentata: e la testa di Mary Stuart rotola sul pavimento, ma assieme ad essa è tutta la concezione divina del potere monarchico a subire un colpo mortale.
Filippo II di Spagna rappresenta l'idealtipo del sovrano controriformistico: fanatico, solitario, austero, dedito alla penitenza. Ossessionato dalla difesa del cattolicesimo in un mondo che va franando, controlla con la frusta dell'Inquisizione i propri sudditi, epura i moriscos costringendoli a lasciare il Paese, prova il colpo di mano sulle Fiandre, sotto il suo controllo, cercando di soffocare la riforma protestante che ormai dilaga. Ma non basta: si dà come missione sconfiggere i musulmani turchi, rinnovando lo spirito ormai fiacco di crociata, ed intromettersi nella politica interna dei Paesi protestanti per riportarli al cattolicesimo. E' da queste premesse che nasce la guerra anglo-spagnola della fine degli anni '80, con l'Invincibile Armata partita trionfalmente esibendo gli emblemi della fede che ritorna lacera, malconcia e sconfitta a dimostrare per l'ennesima volta, se ce ne fosse bisogno, che la storia non si ferma, che la storia non torna indietro...

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martedì 5 novembre 2019

3 - Il grande ribaltone: alle radici di un'Europa a due velocità



A chiunque oggi si metta a ragionare sulla distribuzione della ricchezza a livello globale, sulla possibilità per le persone di accedere al benessere, ai benefici della ricerca scientifica e della più avanzata tecnologia, di godere insomma di una vita libera e tutelata è inevitabile che venga in mente, per associazione di idee, uno schema che rappresenta un mondo nel quale il nord si contrappone al sud. Per noi è normale pensare a questa divisione, anche se certamente essa costituisce una drastica semplificazione della complessità del nostro tempo.
Ma se guardiamo al passato, ci rendiamo conto che non sempre il nord è stato sinonimo di avanzamento e benessere: le prime civiltà umane, lo sappiamo bene, sono nate in Medio Oriente; la Grecia ha dato vita ad una civiltà che ha lottato per sopravvivere all'aggressione dell'impero persiano, riuscendo poi a capovolgere a proprio vantaggio i rapporti di forza, ma con un baricentro sempre spostato a sud; Roma è stata la capitale di un impero mediterraneo, che guardava al settentrione come a luoghi lontani, perennemente avvolti nelle nebbie, abitati da popolazioni feroci, indisciplinate e ingovernabili. Nei lunghi secoli dell'antichità, il nord ha spesso rappresentato la barbarie, l'area da cui provenivano tribù primitive, ai margini della storia; il sud, invece, è stata la culla dell'Occidente, il filo ininterrotto di un discorso che giunge fino a noi ed è quello della civiltà.
Questo schema sopravvive nel Medioevo: ad un'Europa impoverita e rinselvatichita suggestivamente si contrappone lo splendore dell'impero arabo, vero erede della tradizione antica, una civiltà che rimette in circolo le migliori idee del passato e dà loro letteralmente una prospettiva di sopravvivenza con le traduzioni dal greco all'arabo e l'aggiunta di molti preziosi commenti. Nel basso Medioevo è l'Italia a rifiorire, mettendo in piedi manifatture, alimentando commerci che la trasformeranno nel giardino d'Europa, un giardino saldamente piantato al centro del Mediterraneo, mentre la Germania appare attardata, l'Inghilterra un paese di pecorai che vende lana a chi sa trarne tessuti di inaudita raffinatezza. Allora quand'è che è avvenuto il sorpasso del sud da parte del nord? Come e perché è avvenuto il 'grande ribaltone'?
In questa lezione proviamo ad abbozzare una risposta. Molta importanza nel mettere sottosopra l'Europa l'ha avuta l'atlantizzazione, che ha desertificato le vie del commercio tradizionali, monopolizzate dall'Italia, e in particolare da Genova e Venezia, aprendo le rotte alternative dell'oceano. D'altro canto, sono la Spagna e il Portogallo, in prima battuta, a trarre i maggiori vantaggi dalle mutate vie del commercio, cioè paesi 'meridionali' quanto l'Italia, e anche paesi che, a ragione o a torto, proprio come l'Italia, oggi non rappresentano nell'immaginario collettivo l'archetipo dell'avanguardia economica, dell'avanzamento scientifico-tecnologico, dell'apertura sociale e culturale. Tutti ricordiamo l'odiosa sigla PIGS, che accomunava in un giudizio sprezzante Portogallo, Italia, Spagna e Grecia.
Frugando nel grande deposito del passato che è la storia, sembra rilevante, per rispondere alla nostra domanda, il tema della frattura della cristianità: i paesi che si aprono alla riforma sono essenzialmente paesi del nord Europa, mentre i paesi che rimangono obbedienti alla Chiesa di Roma sono quelli mediterranei. I primi, partendo dal presupposto del ritorno alla povertà e alla purezza delle origini, sono stimolati culturalmente dal bisogno di un'appropriazione individuale e critica dei testi sacri, e appaiono più aperti al nuovo, meno passivi nella ricezione di una verità elaborata da altri: atteggiamenti questi che sono alla base della rivoluzione della conoscenza che inizierà nel Seicento. L'Italia e la Spagna, invece, subiscono la stretta soffocante prodotta dalla Controriforma cattolica. La Chiesa tridentina si dà regole più chiare e stringenti, ma si propone anche l'obiettivo di mettere in piedi una gigantesca macchina di disciplinamento sociale e di controllo preventivo delle idee: suggestione, spettacolarizzazione, coinvolgimento emotivo, grande apparato scenico, una coralità liturgica che metta sotto gli occhi dei fedeli la potenza della Chiesa e la sua infallibilità. I casi di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Galileo Galilei sono troppo noti perché valga la pena di raccontarli. Pensare in maniera innovativa comincia ad essere un problema nell'Europa meridionale e questo è un fattore oggettivo di impoverimento.
Per l'Italia in particolare, poi, non va dimenticato il lungo, confuso e doloroso conflitto pluridecennale che va sotto il nome di 'guerre d'Italia'. Dal 1494 al 1559 in Italia è tutto un marciare di eserciti stranieri, un formarsi e disfarsi di alleanze anti-imperiali, anti-francesi, anti-spagnole, con la Chiesa ora a fare da facilitatore di un'aggregazione tra principati italiani, ora a strizzare l'occhio alla Francia, ora a piegare la testa di fronte all'imperatore  tedesco. Decenni di guerre disorientano e confondono: l'economia si inceppa, l'ottimismo rinascimentale, corroso in profondità, lascia il posto a cinismo e rassegnazione. Quando viene firmata la pace di Cateau Cambrésis, che assegna l'Italia, come un trofeo, alla Spagna, inizia per il nostro paese il duro tempo della riduzione a colonia, una lunga decadenza da cui sapremo rialzarci soltanto in anni recenti, quelli repubblicani del miracolo economico e del sorpasso (vero o presunto) del Regno Unito riguardo al PIL. Rimane una lezione importante per tutti noi, e ancora molto attuale: quanto sia alto il costo dell'oscurantismo, della paura delle novità, e dell'incapacità, tipica di chi pensa solo per sé e solo per l'immediato, di fare sistema in una prospettiva di lungo termine e per il bene comune...

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domenica 20 ottobre 2019

2 - Il mito delle 'origini': rifondare il cristianesimo tra utopia e incubo



Un fattore fondamentale di discontinuità storica fra Medioevo ed età moderna è l'evento traumatico della frattura della cristianità. Certo, a ben vedere la fine dell'universalismo cristiano si era già consumata nel lontano 1054, con quel Grande Scisma (o Scisma d'Oriente) che aveva prodotto due varianti di cristianesimo: quello 'del giusto credo', ovvero 'ortodosso', che faceva capo al patriarca di Costantinopoli e raccoglieva le Chiese orientali; e quello autoproclamatosi 'universale', cioè 'cattolico', che riconosceva il primato del papa di Roma e stringeva in un abbraccio fraterno le Chiese latine, ovvero quelle europee. Assodato che la frattura c'era stata effettivamente, ed era stata indubbiamente grave, rimane il fatto che per tutto l'alto e il basso Medioevo la Chiesa gioca la partita della grande istituzione ad ambizione universalistica. Presente in tutti i tavoli che contano, la Chiesa ambisce ad essere il banco che distribuisce le carte e stabilisce le regole, regole che consolidano la sua posizione e le concedono totale autonomia di movimento. E' - o vorrebbe essere - la grande burattinaia d'Europa. Ma la Chiesa era anche più di questo: era la fonte stessa dell'identità dei popoli europei. Se il Medioevo è il grande laboratorio degli stati nazione, ciascuno con la propria specifica identità, tale identità è plasmata a partire dalla grande matrice comune, quella cristiana. E per molto tempo conta di più il patto di solidarietà che stringe tra loro i cristiani di quanto non faccia il parlare una stessa lingua o essere sudditi di uno stesso re, duca o signore. E infatti la parola del papa viene ascoltata indistintamente in tutta Europa, come dimostra, ad esempio, il fenomeno storico delle crociate o alcuni episodi della lotta per le investiture, come la penitenza di Enrico IV a Canossa. La rottura di questo vincolo è dunque veramente un fatto epocale. Ma si tratta anche di un fatto improvviso, incomprensibile ed imprevedibile?
Se dovessimo rispondere basandoci sulla debolezza e sulla contraddittorietà della reazione della Santa Sede alle 95 tesi di Lutero, potremmo concludere che in effetti si è trattato di un evento sorprendente e in definitiva inconcepibile da un uomo di quel periodo storico. Può infatti apparire strano che la Chiesa non sia intervenuta in maniera decisa, vigorosa ed efficiente, come più volte aveva saputo fare in passato, ad esempio nella lotta contro gli imperatori tedeschi Federico Barbarossa o Federico II di Svevia.
Forti delle nostre conoscenze storiche e del proverbiale senno del poi, noi possiamo invece fornire un lungo elenco di segnali che facevano presagire il cammino che la storia stava imboccando. Eccone alcuni:

1) gli oltre 70 anni di cattività avignonese erano già stati un segnale inequivocabile della perdita di prestigio patita dalla Chiesa tardo medievale. La lunga parentesi avignonese si chiude solo per l'indebolimento della monarchia francese, impegnata nella guerra dei cent'anni, e nel peggior modo possibile: con un travagliato ritorno a Roma, pagato al prezzo di decenni di lotte intestine nel seno della Chiesa. Il grande e il piccolo Scisma d'Occidente evidenziano una drammatica fragilità di sistema, che genera una proliferazione di papi ed antipapi, lasciando i cristiani disorientati e costernati;
2) la confusione e lo sgomento favoriscono il fiorire di nuove eresie, che non si limitano a contestare la degenerazione della Chiesa come sistema di potere, ma investono il significato stesso e la funzione della Chiesa come istituzione  deputata ad intermediare i rapporti fra i fedeli e Dio. Le più note fra queste eresie sono quelle promosse in Inghilterra da John Wycliff e in Boemia da Jan Hus: eresie che avranno un grande e duraturo seguito;
3) anche gli intellettuali quattrocenteschi, nutriti di cultura umanistica, finiscono per muovere una critica serrata alle tradizionali manifestazioni di religiosità, che appaiono ai loro occhi forme superstiziose e basate su sovrastrutture e fraintendimenti dei testi sacri. Fra questi pensatori ha un ruolo di primo piano Erasmo da Rotterdam, che non è però l'unico;
4) c'è poi da ricordare tutta una sensibilità esasperata, che si esprime anche nei capolavori artistici dell'età rinascimentale: un'attesa millenaristica, che prevede un drammatico passaggio dell'umanità tra eventi apocalittici il cui annuncio è scritto nelle stelle. Gerolamo Savonarola è sicuramente un interprete di questa ossessione del peccato e di attesa del giudizio, che fa disperare della salvezza.

A noi che scriviamo 500 anni dopo i fatti di Wittenberg la strada della riforma appare spianata ed inevitabile: resta da chiarire se si tratti di realtà o di un potente effetto di deformazione prospettica...



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martedì 8 ottobre 2019

1 - ‘Storie dell’altro mondo’: incontri (e scontri) fra civiltà aliene



Tante sono le ragioni che spingono a considerare i decenni del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento una fase decisiva per lo sviluppo della civiltà occidentale quale oggi la conosciamo: il fiorire in Italia della cultura umanistico-rinascimentale, che modifica in profondità la visione del mondo proponendo il paradigma di una cultura laica incentrata su una concezione forte dell'uomo, artefice del proprio destino, piccolo dio che plasma la Terra a suo piacimento sottoponendola ad una Genesi eternamente rinnovata; la rottura dell'unità cristiana da parte del protestantesimo, che ridimensiona le storiche ambizioni della Chiesa di giocare sul continente europeo il ruolo dell'istituzione universale; la caduta dell'impero bizantino, con la sua millenaria sapienza e la sua preziosa eredità culturale e religiosa; l'affacciarsi in Europa di un nuovo temibile avversario, i Turchi Ottomani, pronti a travolgere le difese europee indebolite dai conflitti interni, di natura territoriale e religiosa, fino a portare la loro minaccia alle porte di Vienna; l'affermarsi delle monarchie nazionali - Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra - quali nuove protagoniste della politica continentale, mentre il Sacro romano impero di nazione germanica rimane paralizzato nel labirinto delle proprie contraddizioni; e infine il tramonto della cavalleria, con il suo codice di comportamento e di valori, sostituita dalle nuove tecniche di combattimento, moderne e vigliacche, per le quali non fa più molta differenza l'eleganza del gesto e il coraggio dell'anima, quanto la possibilità di investire capitali in 'ricerca e sviluppo' intorno alle 'nuove tecnologie' (armi da fuoco, nuovi presidi difensivi, ecc.) e il disciplinato coordinamento dei reparti dell'esercito.
Ma certamente l'evento che segna nell'immaginario collettivo il trapasso dal Medioevo all'età moderna è l'inizio di una stagione febbrile di viaggi di esplorazione e di scoperta geografica. Cristoforo Colombo, Armando Diaz, Sebastiano Caboto, Amerigo Vespucci, Giovanni da Verrazzano, Antonio Pigafetta, Ferdinando Magellano, Pedro Alvares Cabral e molti altri navigatori e avventurieri si diedero a percorrere instancabilmente le vie del mare, dando un contributo fondamentale alla conoscenza del mondo e colmando una lacuna culturale che non era solo del Medioevo ma anche della coltissima Antichità. L'età delle scoperte geografiche fa fare alla civiltà europea un salto di qualità senza precedenti nella storia umana. Certo, non sarebbe corretto dire che il Medioevo ebbe orizzonti ristretti per tutti i mille anni della sua durata: d'altro canto, ai secoli di autoconsumo, di scomparsa delle città e di ritorno delle foreste e dei lupi, succedettero nel '200 gli straordinari decenni della Via della seta, che consentì a molti mercanti coraggiosi di alimentare i propri traffici da una parte all'altra del mondo. Ma è solo con il Cinquecento che la civiltà occidentale esce dal proprio spazio di incubazione, esporta se stessa e si radica in tutto il mondo in maniera irreversibile, mostrando di essere, fra le culture umane, quella evolutivamente più matura, ed anche quella più spregiudicata. Caravelle, galeoni e cannoni. Spirito di avventura, slancio utopico, ma anche pragmatismo, imposizione violenta, disumanità e schiavitù. Grandi navigatori e conquistadores avidi di ricchezze e assetati di sangue. Fa riflettere la sistematica distruzione di paesaggi e popolazioni messa in atto dagli europei nel momento dell'incontro col diverso, fermo ad uno stadio più arcaico del cammino evolutivo.
Era iniziato un processo lento ma inesorabile, quello che avrebbe portato, attraverso la corsa agli imperi coloniali, all'età del villaggio globale e della mondializzazione, che rimpicciolisce il mondo e avvicina le persone, ma impoverisce le diversità culturali, globalizza allo stesso tempo beni e flagelli, e contamina anche gli angoli più remoti del nostro piccolo, minuscolo pianeta...

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giovedì 5 settembre 2019

Anno accademico 2019/20

DALL’EUROPA AL MONDO
l’età moderna


Risultati immagini per mappe antiche mondo


Carissimi, ecco la mia proposta di programma e di calendario per il corso di storia di quest'anno accademico. Il titolo è "Dall'Europa al mondo" ed abbraccia i tre secoli abbondanti che vanno dal 1492 al 1815, data quest'ultima da molti considerata il discrimine fra età moderna ed età contemporanea. Sono appunto i secoli in cui la civiltà europea, nata molto tempo prima in medio Oriente e cresciuta fra l'antica Grecia e Roma, esce dai confini del mondo medievale e si irradia in tutto il pianeta, dando origine a vasti e complessi imperi coloniali. Da questo punto di osservazione, la vista si amplia molto ed è già possibile distinguere il nostro tempo profilarsi in lontananza ed assumere contorni sempre più nitidi. Mi auguro che anche quest'anno vorrà unirsi a me una pattuglia di ardimentosi navigatori, che desideri tentare questa rotta intorno al mondo, fra le pagine ingiallite di una storia lontana nel tempo ma che appartiene a tutti noi...

prof. Stefano D’Ambrosio

1) ‘Storie dell’altro mondo’: incontri (e scontri) fra civiltà aliene
mercoledì 9 ottobre 2019 / ore 20-22


2) Il mito delle ‘origini’: rifondare il cristianesimo tra utopia ed incubo
mercoledì 23 ottobre 2019 / ore 20-22


3) Il grande ribaltone: alle radici di un’Europa a due velocità
mercoledì 6 novembre 2019 / ore 20-22


4) Complotti, massacri, penitenze e teste mozzate: l’età buia del sospetto
mercoledì 20 novembre 2019 / ore 20-22


5) Nel tempo di Renzo e Lucia: streghe, untori e carestie 
mercoledì 4 dicembre 2019 / ore 20-22


6) ‘Ridicolo’?! Ma tutto questo, madame... è Versailles!
mercoledì 18 dicembre 2019 / ore 20-22


7) ‘Giù le mani dal Parlamento’: la libertà inglese sfida l’assolutismo
mercoledì 15 gennaio 2020 / ore 20-22


8) Globalisti, politicamente corretti, inguaribili ottimisti: gli illuministi infiammano l’Europa
mercoledì 29 gennaio 2020 / ore 20-22


9) L’èra del progresso: il tempo senza ritorno delle macchine
mercoledì 12 febbraio 2020 / ore 20-22


10) Potere al popolo: i francesi fanno la rivoluzione
mercoledì 26 febbraio 2020 / ore 20-22


11) Leadership carismatica: Napoleone da giacobino a imperatore
mercoledì 11 marzo 2020 / ore 20-22


12) Restaurazione: la Vienna dei valzer e del ‘concerto europeo’
mercoledì 25 marzo 2020 / ore 20-22

lunedì 25 marzo 2019

12 - Il tempo della diplomazia: l'Italia del Magnifico equilibrio



Tra il Trecento ed il Quattrocento in Europa si affermano alcuni stati moderni, che sono il risultato di un processo - per lo più lento e faticoso - di riconquista, da parte delle rispettive monarchie, di territori divenuti autonomi di fatto nei secoli della disgregazione dell'impero carolingio. Questi nuovi protagonisti della politica europea sono la Francia, l'Inghilterra, la Spagna e il Portogallo. I primi due costruiscono la propria identità nei conflitti che, a più riprese, contrappongono le due sponde della Manica: dopo 250 anni circa, al termine di un ciclo di guerre culminato nella guerra dei Cent'anni, il cordone ombelicale che univa i due Paesi è definitivamente reciso e la storia di ciascuno seguirà traiettorie diverse. La successiva guerra tra la Francia e la Borgogna allarga i confini francesi e consolida la compattezza territoriale dello Stato in quel momento più forte d'Europa. Nella seconda metà del Quattrocento tanto la Francia quanto l'Inghilterra (quest'ultima dopo 30 anni di lotte di successione dinastica, passate alla storia sotto il nome di 'guerra della due rose') investiranno nella costruzione di un apparato burocratico centralizzato e assumeranno un ruolo importante nell'equilibrio politico europeo.
La Spagna e il Portogallo, invece, hanno una storia diversa, in primo luogo perché non hanno mai fatto parte dell'impero carolingio e non c'è quindi una degenerazione del sistema feudale da correggere. Lo stato moderno spagnolo si costituisce al termine di una lunga stagione di guerre combattute contro gli emirati arabi nella penisola iberica (Reconquista) e a seguito di un processo di fusione spontaneo tra regni confinanti, che ha risparmiato il Portogallo, compattatosi intorno alla figura carismatica del re portoghese Enrico il Navigatore. Sono proprio questi due Stati ad aprire all'Europa la via delle esplorazioni geografiche, che costituiscono un fortissimo fattore di discontinuità storica tra il Medioevo e l'età moderna. Dopo la scoperta dell'America, la Spagna acquisisce un potere enorme, in virtù di un flusso di ricchezze pressoché inesauribile su cui può contare in quanto monopolista dei traffici atlantici. Il regno dei sovrani cattolicissimi si avvia a vivere il proprio secolo d'oro, il Cinquecento.
Accanto a queste aree forti e proiettate dinamicamente verso il futuro, nel '400 l'Italia appare la bella addormentata d'Europa: è un territorio ancora ricchissimo, ma subisce la concorrenza dei nuovi pesi massimi della politica, coi quali stenta a rimanere competitiva perché troppo frammentata e perennemente coinvolta in conflitti locali; è il motore del pensiero, della cultura e dell'arte (siamo nell'età dell'Umanesimo e del Rinascimento), ma sul piano militare non può competere con le grandi monarchie nazionali. E quindi fa gola. Le guerre d'Italia scoppiano però solo alla fine del '400, nel 1494, e coinvolgeranno proprio gli Stati più forti d'Europa: Francia e Spagna.
Il '400 italiano è nettamente diviso in due momenti dalla pace di Lodi, del 1454. Nella prima fase Milano, Venezia, Firenze, Napoli e lo Stato pontificio si affrontano in continui conflitti senza esclusioni di colpi e sulla base di alleanze a geometria variabile: il risultato è che nessuno degli stati regionali nei quali l'Italia è divisa riesce ad affermarsi sugli altri. In alcuni momenti è Milano che sembra prevalere; in altri Venezia. Ma il timore che qualcuno, diventando troppo forte, finisca per unificare l'intera penisola spezza leghe solidissime, provoca bruschi voltafaccia e disinvolti salti della barricata. La pace di Lodi sancisce appunto la solenne rinuncia, da parte degli stati regionali, alle pretese di unificazione dell'Italia sotto un'unica monarchia. Questa affermazione di principio viene incardinata in un sistema che prevedeva l'immediata azione coordinata di tutti gli stati italiani contro lo stato che per primo si fosse abbandonato alla violazione del principio di equilibrio. Lorenzo il Magnifico, che governa Firenze tra il 1469 e il 1492, è il politico italiano che rappresenta più compiutamente lo spirito della pace di Lodi e che venne definito l'ago della bilancia della politica italiana, per la sua abilità diplomatica e la sua capacità di disinnescare crisi potenziali o in atto. La sua opera di infaticabile mediatore regala all'Italia decenni di relativa pace e di fioritura artistica e culturale, che costituiscono ancora oggi il contributo più straordinario che il nostro Paese ha da offrire al mondo, oggetto di inesauribile ammirazione per il genio italiano. Però, su un altro versante, gli anni successivi alla pace di Lodi condannano l'Italia all'irrilevanza politica, ad una lunghissima stagione di decadenza e all'asservimento alle più forti monarchie nazionali europee.
Dopo la morte di Lorenzo, l'equilibrio perfetto si rompe e l'Italia si trasforma in un campo di battaglia per oltre 60 anni, fino a quando la pace di Cateau-Cambrésis del 1559 assegnerà alla Spagna l'egemonia sul nostro Paese. Bisognerà aspettare tre secoli perché il timone dell'Italia torni nelle mani degli italiani, un popolo a quel punto non più ricco, non più avanzato né sul piano tecnologico né su quello culturale e sociale, certamente non più alla testa dell'Europa...

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mercoledì 13 marzo 2019

11 - Nazioni e cannoni: il nostalgico tramonto del Medioevo



Dopo la morte di Federico II di Svevia, i suoi eredi tentano per alcuni anni di portare avanti gli ambiziosi progetti ghibellini di restaurazione dell'Impero universale. Tuttavia, Corrado, Manfredi e Corradino vengono sistematicamente  sconfitti ed escono di scena. Mentre la Chiesa festeggia l'ennesimo trionfo, delle ambizioni imperiali si perdono le tracce: negli anni successivi al 1266 gli imperatori tedeschi appaiono sempre più incapaci di incidere nella politica europea e si trovano a barcamenarsi con difficoltà all'interno del caotico mondo tedesco. Fra tutti i protagonisti del secolo che va dalla morte di Corradino alla Bolla d'Oro (1356), vale la pena ricordare soltanto Enrico VII di Lussemburgo: in lui Dante aveva riposto le speranze di rientrare nella sua amata Firenze dopo circa un decennio di esilio; ma la spedizione in Italia di questo volenteroso imperatore finisce improvvisamente nel 1313 a Buonconvento, presso Siena. I Comuni, lungi dal piegarsi alle pretese imperiali, continuano a prosperare, e il sistema feudale nel centro-nord del Paese appare ormai superato. La Bolla d'Oro, in concreto, stabilisce definitivamente le regole per l'elezione dell'imperatore, ma il suo significato è ben altrimenti profondo: essa sancisce la chiusura del mondo tedesco in se stesso, e la rinuncia a qualunque velleità universalistica.
Quello che invece non ci si aspetta è il rapido deteriorarsi dei rapporti - tradizionalmente eccellenti - tra la Santa Sede e la monarchia francese, che - non dimentichiamolo - è appena stata beneficiata dalla Chiesa con l'attribuzione del trono di Napoli ad un fratello dello stesso re, Carlo d'Angiò. Per comprendere questo scontro, dobbiamo distinguere tra cause occasionali e cause profonde. Tra le prime va registrata la decisione di Filippo IV di Valois, noto con il soprannome di Filippo il Bello, di imporre le decime al clero francese: a questo affronto Bonifacio VIII - papa odiato tanto da Dante quanto da Jacopone da Todi - risponde con l'indizione del primo giubileo della storia, ostentazione muscolare dell'influenza che la Chiesa esercita sui fedeli, e con la bolla "Unam sanctam" del 1302. L'esito del conflitto è sconcertante: la condanna lanciata da Bonifacio VIII a Filippo il Bello cade nel nulla, mentre la corona francese riesce abilmente a umiliare il papa imprigionandolo nella sua residenza di Anagni. I cristiani rimangono a guardare. Cosa è cambiato dai tempi di Canossa, quando Enrico IV si era prostrato nella neve implorando il perdono?
La risposta a questa domanda ci porta ad individuare la cause profonde della crisi Francia-Chiesa. Lentamente, in Europa tutto sta cambiando: tramontano i plurisecolari protagonisti del Medioevo, la Chiesa e l'Impero, è giunta l'alba dell'Europa degli Stati-Nazione. Alcune monarchie europee sono da tempo impegnate in una faticosa riconquista dei territori ormai autonomi de facto per il collasso del sistema di controllo feudale. Ciò avviene in Inghilterra, sotto Enrico II il Plantageneto, e in Francia, sotto Filippo II Augusto e i suoi successori, Luigi VIII e Luigi IX il santo. Gli stati moderni si dotano di uffici burocratici centralizzati, di un esercito permanente, di un efficace sistema di riscossione delle tasse e di amministrazione della giustizia. Si cerca di contrastare la tendenza tipicamente feudale alla delega alla nobiltà di funzioni proprie dello Stato. Il risultato è la trasformazione del concetto stesso di monarchia: da re magistrato a re taumaturgo, insediato sul trono per diritto divino.
Lo stato moderno ha bisogno di ingenti risorse finanziarie e questo spiega l'attacco di Filippo il Bello ai privilegi degli ecclesiastici francesi. La debolezza della Chiesa si manifesta improvvisamente in tutta la sua evidenza. E sarà la cattività avignonese (1309-77): sette papi francesi e il trasloco della curia pontificia nella città situata alla foce del Rodano. Solo l'indebolimento della monarchia francese consente a Gregorio XI di riportare a Roma la capitale della cristianità, che - peraltro - pagherà questo tradimento con 40 anni di Grande Scisma, o Scisma d'Occidente (1378-1418).
Causa del temporaneo declino francese è la guerra dei Cent'anni, che scoppia all'atto dell'invasione inglese della Francia (1337). Questo lunghissimo conflitto è il laboratorio della modernità: vi si sperimentano nuove armi (l'arco lungo, la balestra, la bombarde e i cannoni) e nuovi modi di combattere. Tramonta la gloriosa cavalleria pesante che aveva fatto grande l'esercito franco sin dai tempi di Carlo Magno. In guerra non c'è più spazio per il coraggio, l'onore, l'eleganza del gesto tecnico: si muore colpiti da lontano, senza riguardo al merito individuale. Così, almeno, lamenta Ludovico Ariosto in un canto dell'Orlando furioso. La guerra, che si risolve nel 1453 con la vittoria di Carlo VII di Francia, tempra l'identità nazionale inglese e francese. A questi due Stati, ormai dotati di una fisionomia precisa, si somma la Spagna, che nasce da un matrimonio dinastico tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia (1469) e si forgia nella lotta contro il superstite sultanato nasrida di Granada. Dopo l'ultima vittoria sui musulmani, i sovrani spagnoli assumeranno l'appellativo di re cattolicissimi...
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martedì 26 febbraio 2019

10 - Il duro colpo della peste: squilibri, proteste e insidie



Da trecento anni la consistenza demografica dell'Europa andava aumentando, ad un ritmo di crescita non fulminante, ma continuo. L'incremento della popolazione aveva consentito la specializzazione dei mestieri e aveva sostenuto la nascita di una civiltà complessa, raffinata dal punto di vista culturale e relativamente ricca sul piano economico. La pietra angolare su cui questa costruzione era stata edificata continuava ad essere l'agricoltura. Dopo i progressi successivi all'anno Mille, tuttavia, le tecniche agricole non avevano visto innovazioni significative; solo l'estensione delle aree messe a coltura aveva garantito una produzione sufficiente a sfamare la crescente massa di persone. In tempi normali le annate cattive non si traducevano immediatamente in una carestia: i governi provvedevano a stoccare scorte alimentari e, in caso di loro esaurimento, si premuravano di acquistare cereali da luoghi sufficientemente lontani da non aver risentito dello scarso raccolto. La situazione comincia a farsi seria quando l'ampiezza delle aree interessate da un rendimento agricolo insufficiente si allargano a dismisura: a quel punto cercare di acquistare altrove diventa impossibile.
Ma perché la terra cessa all'improvviso di produrre abbastanza di che vivere? La risposta a questa domanda è cruciale per capire quell'imponente fenomeno di ristrutturazione economica che generalmente va sotto il nome di "crisi del Trecento". Premesso che la storiografia non ha ancora scritto l'ultima parola su questo tema, si è cercato di rispondere in vari modi.
In primo luogo sembra ormai acclarato che qualcosa cambia nel clima, proprio a partire dai primi anni del XIV secolo. Sta per cominciare la piccola èra glaciale, che si prolungherà fino a tutto il '600, con temperature medie annuali nettamente più basse rispetto ai secoli immediatamente successivi all'anno Mille. Il Reno, il Tamigi, la Senna congelano regolarmente durante l'inverno e diventano percorribili non solo a piedi, ma addirittura in carrozza. Sappiamo inoltre che all'inizio del '300 si succedono estati fredde e piovose, al punto che il grano non arriva a maturazione e marcisce ancora in pianta.
Ad aggravare la situazione delle campagne si somma la guerra: il Trecento è un secolo in cui i conflitti si moltiplicano, portando con sé la devastazione dei terreni coltivati. Si pensi soltanto alla guerra dei Cent'anni, scoppiata tra la Francia e l'Inghilterra nel 1337 e che si prolunga fino al 1453.
Un altro aspetto da considerare è il rapido esaurimento della fertilità dei suoli più difficili: campi coltivati a 1500 m. d'altezza, zone acquitrinose strappate alla palude, aree ricondotte all'agricoltura dopo un'intensa attività di disboscamento. Tutte queste terre poco adatte alla coltivazione avevano inizialmente risposto bene all'attività agricola perché rimaste incolte per secoli. Sottoposte ad intenso sfruttamento, esse manifestano ben presto i loro limiti intrinseci e vengono pertanto abbandonate. Nel corso del '300 sono moltissimi i villaggi che scompaiono ed è la foresta a riguadagnare terreno.
In uno scenario in cui la popolazione europea si trova indebolita dalla fame, al punto che alcuni storici ammettono l'esistenza di fenomeni come l'infanticidio ed il cannibalismo, si innesta lo spaventoso flagello della pesta nera.
Il morbo, di cui si leggeva nelle antiche cronache, era scomparso dal continente almeno da cinque secoli, ovvero dall'età carolingia. Da allora, il basso Medioevo aveva visto fiorire una civiltà originale e complessa. Proprio la sua ricchezza è, in un certo senso, la causa della pandemia. L'espansione dell'impero mongolo a partire dal 1215 garantisce una via di comunicazione sicura tra l'Occidente e l'Oriente favoloso del Cataj e del Gran Khan. Carichi preziosi ed immense ricchezze vengono trasportate via terra e via mare, attraverso la via della seta e le città portuali del Vicino Oriente, del mar Nero, dell'Egitto. E' proprio da uno di questi empori - la cittadella genovese di Caffa - che giunge in Italia il bacillo della pasteurella pestis, ribattezzata nel 1894 yersinia pestis in onore del medico e biologo che per primo la isolò. Ne sono portatori inconsapevoli i ratti neri, onnipresenti nelle stive delle navi, e ne sono veicolo di contagio le loro pulci, il cui morso va ad infettare gli animali domestici e l'uomo. Un'ondata di morte si abbatte su tutto il continente tra il 1347 e il 1351, con una coda che si estende sino al 1353. Almeno 1/3 della popolazione europea non supera la crisi. E da quel momento la peste rimane una presenza costante nella vita di ogni generazione: la chiamano la morte nera ed è un'ospite inquietante, che chiede con inesorabile ciclicità il proprio tributo di sangue umano. Il crollo demografico e la convivenza forzata con il terrore della morte cambia decisamente gli equilibri in gioco ed innesca un effetto domino i cui effetti sono destinati a manifestarsi in un periodo di tempo molto lungo...
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mercoledì 13 febbraio 2019

9 - L'Italia contro: l'eterna lotta tra guelfi e ghibellini



Nel nostro immaginario relativo al Medioevo, accanto ai castelli, ai cavalieri, alle giostre e alle donne angelo di stilnovistica memoria, c'è un posto assicurato alle continue guerre che nel corso di 150 anni contrapposero in Italia due fazioni irriducibili: quella dei guelfi e quella dei ghibellini. Non esiste letteralmente studente che, affrontando la vita di Dante Alighieri o applicandosi alla lettura della Divina Commedia, non si sia imbattuto anche solo per sbaglio nella stagione degli esili, dei ribaltamenti di fronte e delle alleanze fra Comuni gemellati, auspice la comune fede guelfa o ghibellina. Ma da dove traggono origine questi termini e cosa significano?
Contrariamente a quanto molti pensano, le etichette storiche di 'guelfi' e 'ghibellini' non nascono in Italia, bensì in Germania. Il loro terreno di coltura sono le guerre di successione dinastica che si scatenano alla morte dell'imperatore Enrico V nel 1125, cioè subito dopo la tregua siglata dalla Chiesa e dall'Impero nella logorante lotta per le investiture (Concordato di Worms, 1122). Il mondo germanico si polarizza intorno a due potenti famiglie dell'aristocrazia feudale, che si danno battaglia per occupare il trono vacante: gli Hohenstaufen, duchi di Svevia, il cui quartier generale è il castello di Waiblingen; e i duchi di Baviera, la cui base è il castello di Welf. Questa partita si conclude con l'affermazione di Federico I di Svevia, soprannominato il Barbarossa, ma la fortuna dei due toponimi 'Waiblingen' e 'Welf' valica i confini della Germania per attecchire in Italia. Quale Italia?
L'Italia dei Comuni. La fioritura dei Comuni italiani è proprio legata alle vicende tedesche, ed in particolare alla disgregazione profonda che il Sacro Romano Impero di nazione germanica sperimenta dopo la stagione di rinnovata vitalità dell'età ottoniana. Il punto più basso di questa disgregazione della struttura feudale dello Stato si consuma proprio nelle lotte di successione dinastica appena citate. Ne approfittano le città italiane, che vivono una vera e propria rinascita dopo l'anno Mille e, dotandosi di uno statuto, danno vita ai Comuni. La loro esistenza costituisce un atto di disubbidienza e di illegalità rispetto alle norme del diritto feudale. Per questa ragione, non appena il rex Germanorum, dopo aver ridotto all'obbedienza i baroni tedeschi, è nelle condizioni di poter intervenire, scende in Italia per ristabilire il controllo su un territorio in preda, dal suo punto di vista, all'anarchia. Ecco allora che proclamarsi 'ghibellino' ('waiblingen') significa schierarsi dalla parte dell'imperatore e del suo diritto di regolare la vita politica italiana. In modo complementare, dichiararsi 'guelfo' ('Welf') significa contrastare l'imperatore, facendo perno sull'altra autorità presente sul suolo italiano: quella del papa.
Va detto che Federico Barbarossa si muove bene in Italia: fa leva sulle eterne diffidenze che lacerano il quadro politico comunale, presentandosi agli occhi dei Comuni più piccoli come il baluardo dagli attacchi predatori dei Comuni più grandi e potenti. Cinge la corona di ferro e poi si fa incoronare imperatore da Adriano IV, in cambio di un intervento di repressione nei confronti del tribuno Arnaldo da Brescia, leader di una rivolta popolare contro il potere pontificio, il quale finirà sul rogo. Proprio sul più bello, Federico è costretto a ripiegare in Germania per sedare una rivolta di baroni, che hanno rialzato la testa approfittando della sua lontananza. Qualche anno dopo (siamo ormai nel 1158) Federico ci riprova: scende in Italia, convoca la seconda dieta di Roncaglia e mette in chiaro le cose: i Comuni devono accettare un legato imperiale e rinunciare alle regalìe che hanno usurpato. Milano e Crema, che osano disobbedire, ne pagano le conseguenze e vengono elevate ad esempio eloquente della determinazione dell'imperatore: assediate e vinte, vengono rase al suolo.
A questo punto è la Chiesa a prendere in mano la situazione: morto Adriano IV, il nuovo papa Alessandro III - memore del già citato scontro fra Chiesa e Impero, ovvero la 'lotta per le investiture' -  ha le idee chiare riguardo alla necessità di scongiurare una presenza eccessivamente forte dell'Impero in Italia. Si dedica allora ad una iniziativa inedita: coordinare e presiedere una lega di Comuni in funzione anti imperiale. Ventidue Comuni vi aderiscono e ricambiano il sostegno ricevuto edificando una città-fortezza, ad eterna gloria del nome del papa: Alessandria. Costituita la Lega lombarda, giunge il momento dello scontro: Federico Barbarossa torna in Italia, convinto di poter replicare il successo di qualche anno prima. Si illude: al suono della martinella, confortati dal simbolo del carroccio, i Comuni ottengono un successo militare insperato e vengono trascinati alla vittoria dall'eroica (e forse leggendaria) figura di Alberto da Giussano e della sua compagnia della morte.
I guelfi hanno trionfato e l'imperatore è costretto ad accettare l'indipendenza sostanziale dei Comuni italiani. La partita fra guelfi e ghibellini non è affatto finita. Ci sarà un secondo tempo; e, neanche a dirlo, a giocarla - dalla parte imperiale - sarà un altro famosissimo Federico, nipote del Barbarossa, un uomo che sarà definito l'Anticristo: Federico II di Svevia...

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martedì 29 gennaio 2019

8 - Dio lo vuole: i cristiani alla conquista di Gerusalemme



Le crociate sono un momento singolare della storia della cristianità e dell’Europa, che si colloca all’interno di un fenomeno più complessivo, ovvero quello della rinascita dell’Occidente. A partire dall’anno Mille si assiste ad una crescita demografica lenta, ma progressiva e continua, che dura per circa tre secoli, fino ai primi decenni del Trecento. Cresce la popolazione fino a raddoppiare alla fine del ciclo. Con l’aumento delle bocche da sfamare si assiste ad una vera e propria corsa alla terra: dopo i secoli centrali dell’alto Medioevo, che avevano segnato la crisi della civiltà urbana e il ritorno delle foreste, riprendono le attività di disboscamento, di dissodamento dei terreni, di bonifica delle aree acquitrinose, di consolidamento degli argini dei fiumi. Nascono tanti villaggi, che spesso si chiamano Villanova, Villafranca, a testimonianza del fatto che si tratta di insediamenti nuovi, nei quali è possibile trasferirsi usufruendo di notevoli vantaggi fiscali. Perfino le fasce prealpine sono riconquistate alla coltivazione. Alcune basilari innovazioni nelle tecniche agricole (l’aratro pesante in ferro, il collare rigido in legno, la rotazione agricola triennale) consentono un marginale incremento della produttività agricola, anche se il grosso della produzione aggiuntiva continua a derivare dalla maggiore estensione delle coltivazioni. Con le eccedenze agricole è possibile uscire dalla logica dell’autoconsumo e riattivare, un po’ alla volta, il commercio e con esso costruire nuove opportunità di arricchimento. Nel cuore dell’Europa continentale cominciano a tenersi con regolarità grandi fiere annuali (ad esempio nella Champagne francese), nelle quali i migliori prodotti di paesi lontani possono trovare un mercato di sbocco. Fioriscono così le manifatture e l'artigianato di qualità. Al commercio si accompagna lo sviluppo delle attività finanziarie, in un’epoca che vede riprendersi vigorosamente la circolazione monetaria fino al ritorno alle monete d’oro. Anche le città rinascono, e spesso lo fanno con un atto di disobbedienza nei confronti del sistema feudale, ancorato alla logica curtense altomedievale. In Italia è la stagione dei Comuni, nell’Europa del nord è quella delle città dell’Hansa, affacciate sul mar Baltico e sul mare del Nord. Non va poi dimenticato il singolare percorso di alcune città costiere, che costruiscono la propria fortuna sui commerci marittimi: le repubbliche marinare. Non solo Venezia, Pisa, Genova, Amalfi, ma anche Ancona, Noli, Ragusa. Siamo nell’epoca turbolenta in cui i cavalieri, figli cadetti dell’aristocrazia feudale, cercano impiego presso i tanti signori dei tanti potentati locali, alimentando una guerra incessante di cristiani contro cristiani, dietro la quale si intravede l’ambizione di questi rampolli di rientrare – grazie alla gloria delle armi – nella condizione privilegiata di proprietari di feudi, dalla quale sono stati espulsi in quanto non primogeniti.
In questo contesto si inserisce l’accorato appello di Urbano II al pellegrinaggio armato in Terrasanta del 1095. Nelle parole che ci sono state riportate occupa un punto centrale proprio il motivo di interrompere le guerre fratricide per rivolgere le energie generose verso cause più nobili: ad esempio, quella di liberare il sepolcro di Cristo dall’occupazione di una nuova stirpe di infedeli, i Turchi selgiuchidi, che impediva il pellegrinaggio ai cristiani nei luoghi prescelti da Dio per l'incarnazione di suo Figlio. C'è anche un contesto internazionale che aiuta: l'impero bizantino, dopo la battaglia di Manzikert del 1071, ha perso buona parte del proprio territorio ed è minacciata sin sotto le mura di Costantinopoli. Forse un aiuto, tra cristiani che pure hanno divorziato, è ancora possibile. E c'è infine la questione sempre attuale della lotta per le investiture, l'eterno braccio di ferro tra Chiesa e Impero per la supremazia sulle genti europee: quale migliore occasione di far vedere al mondo quanto vale la parola del vescovo di Roma?
Ecco allora che le crociate sono un formidabile punto di incontro di questioni religiose, economiche, politiche, sociali, culturali, perfino personali, un intreccio di concause alla radice di uno dei fenomeni più originali e inafferrabili della nostra storia...
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venerdì 11 gennaio 2019

7-Chiesa e Impero: investiture, scomuniche e antipapi



Quando la bufera delle invasioni barbariche si placa, poco dopo l'anno Mille, l'Europa appare un continente dove veramente la Chiesa rappresenta un'istituzione universale: nuovi popoli hanno abbracciato il cristianesimo e monaci tenaci si sono prodigati in una predicazione che ha portato la parola del Vangelo fino agli estremi confini della Terra. La Chiesa sembra aver realizzato pienamente la sua missione storica: annunciare la lieta novella, convertire i cuori e prendersi cura delle anime. In realtà, questi successi innegabili sono controbilanciati da una lunga serie di fenomeni di segno opposto, che erodono giorno dopo giorno i pilastri e le fondamenta di un edificio costruito tanto faticosamente. Elenchiamoli rapidamente:

1) la penetrazione del cristianesimo è grandissima, ma incontra ancora un limite nella persistenza di antichi rituali pagani, radicati soprattutto nelle campagne e, in genere, legati alla cultura contadina. Queste sopravvivenze arcaiche saranno oggetto di una persecuzione senza quartiere da parte della Chiesa, che ad esse attribuirà lo stigma di malefìci e pratiche stregonesche;
2) l'autorità del papa, inteso come capo supremo della Chiesa, infallibile e santo quasi per definizione, è ben lontana dall'essersi consolidata, all'altezza dell'anno Mille. Certamente non è pronto a riconoscergli questo primato il patriarca di Costantinopoli, che non vede perché il patriarcato di Roma dovrebbe esercitare un'autorità preminente su patriarcati ben più antichi e importanti, quali quello di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme -  oltre al suo. Ma non sono tanto inclini a riconoscerglielo neppure i vescovi dell'Europa latina, i quali tradizionalmente non sono affatto nominati dal papa - che, ai loro occhi, è solo un vescovo loro pari - bensì dalle comunità locali, e sono espressione di potenti famiglie aristocratiche e di delicati equilibri politici, sociali e religiosi;
3) c'è poi il problema del dissenso, che aggredisce la Chiesa dall'interno e dall'esterno. Partiamo nell'analisi da questo secondo punto. Attorno all'anno Mille si sviluppa un lungo elenco di eresie, che ottengono in poco tempo un gran numero di seguaci, soprattutto di estrazione popolare: la patarìa milanese, i catari - detti anche albigesi - radicati nel sud della Francia, i valdesi - noti anche con il nome di "poveri di Lione", per arrivare - decennio dopo decennio - fino alle oscure profezie millenaristiche di Gioacchino da Fiore, da cui avrebbe tratto origine il movimento dei 'flagellanti'. Riguardo al dissenso che muove dall'interno della Chiesa, vanno ricordati i tanti nuovi ordini religiosi che esprimono un profondo distacco dalle gerarchie cattoliche e cercano di incarnare una fede differente, più rispettosa del messaggio evangelico e dello slancio originario del cristianesimo. Tra questi vanno ricordati i cluniacensi, i cistercensi, i certosini, e più tardi i francescani e i domenicani. Anche il monaco calabrese Gioacchino da Fiore predicava l'avvento di una nuova età, quella dello Spirito Santo, che avrebbe visto il trionfo di una Chiesa libera, tollerante, ecumenica, estranea alle logiche del mondo;
4) c'è infine il conflitto tra papa e imperatore, che verte sulla questione specifica dei vescovi-conti, ma che si allarga fino ad investire il significato stesso del potere: esso è di origine divina (teocrazia) o di origine contrattuale (concezione feudale)? E se di origine divina, è esercitato da un uomo perché direttamente prescelto da Dio o attraverso l'intermediazione della Chiesa? E qual è il ruolo del papa? Veramente, come recita il Vangelo, ciò che il papa rimette in Terra verrà rimesso anche in Cielo - cioè il papa ha effettivamente la possibilità di impegnare le decisioni celesti - oppure le dottrine teocratiche sono il delirio di onnipotenza di uomini che hanno smarrito la fede e sono rimasti contaminati dal virus della simonia e della brama di potere?

Queste e altre domande agitano i sonni degli uomini nei decenni a cavallo dell'anno Mille, e nell'affanno dei contendenti, genereranno impercettibilmente il declino tanto dell'Impero quanto della Chiesa, mentre nuovi attori si preparano ad occupare il gran palcoscenico della storia... 

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