lunedì 19 ottobre 2020

12 - Restaurazione: la Vienna dei Valzer e del Concerto europeo

 

Nella stagione che più ha dato un contributo di alto valore qualitativo alla grande civiltà musicale europea, si parla di 'concerto' non solo riguardo alla febbre di un nuovo ballo che impazza nelle corti di tutta Europa, da Parigi a Vienna, da Mosca a Londra, ma anche in relazione alla politica internazionale ed ai rapporti fra Stati, un tempo - in verità - alquanto burrascosi, o - sarebbe meglio dire - dissonanti. A usare questa terminologia sono i protagonisti della resistenza anti-napoleonica, gli ex compagni di cordate misogalliche, che ora si autodefiniscono encomiasticamente 'Grandi Potenze', assegnando a se stesse il compito di disegnare la nuova Europa. A guidarli è un obiettivo largamente condiviso: garantire un lungo periodo di pace e di prosperità dopo la pazza pazza sbornia della Rivoluzione francese e l'ancor più pazza e stravagante smania di conquista del generalissimo còrso che aveva scioccato e scandalizzato il Vecchio continente. Per realizzare questo nobile obiettivo ministri e dignitari dei Paesi vincitori si riuniscono a Vienna, nel castello di Schönbrunn, dove vengono piacevolmente accolti dal cancelliere von Metternich, il quale si incarica di organizzare una ragnatela di incontri bilaterali durante i quali ogni ipotesi viene vagliata ed ogni divergenza viene appianata. Un segno di maturità politica è quello di ammettere alla conferenza anche lo Stato-canaglia non ancora del tutto domato (i cento giorni di Napoleone, insieme a Waterloo, si consumano mentre il Congresso di Vienna è in corso), cioè la Francia, rappresentata politicamente dal suo ministro degli esteri Talleyrand. I lavori procedono sulla base di principi solidi: la necessità di un reintegro delle legittime dinastie sui rispettivi troni; l'importanza di disegnare un'Europa in cui non si materializzi l'ipotesi di uno stato nettamente più forte degli altri, tale da mettere in pericolo il bene più prezioso, cioè quell'equilibrio che è garanzia di pace; l'opportunità di un intervento precoce alla prima insorgenza di 'sintomi' rivoluzionari, con conseguente autorizzazione preventiva a violare i confini di stato. Pragmatica la scelta di affidare ad una polizia internazionale il compito di vigilare e intervenire con tempestività chirurgica in caso di insurrezione popolare e rischio contagio al resto dell'Europa. Nasce così l'alleanza che stringe insieme Austria, Prussia e Russia dopo lo scampato pericolo: e sarà la Santa Alleanza. Fraternamente i sovrani europei, imposti sul trono direttamente da Dio (secondo l'antica formula dell'alleanza trono-altare), si sostengono l'un l'altro promettendosi mutuo soccorso. L'Inghilterra non aderisce a questo fronte solo per ragioni ideologiche, ovvero perché non condivide il misticismo di una concezione del potere che a quelle latitudini si considera anacronistica. Nella patria del Parlamento e del liberalismo, in tumultuosa crescita economica sotto l'impulso della rivoluzione industriale, parlare di origine divina del potere pare un'assurdità. Ma l'Inghilterra si fa promotrice della Quadruplice alleanza che riassorbe la Santa, schierando gli uni accanto agli altri i regimi più retrivamente attaccati all'antico regime (Russia, Austria e Prussia) e quelli saldamente radicati nel sistema costituzionale e parlamentare. Del 1818 è la Quintuplice alleanza, con cui la Francia viene 'recuperata' dalla condizione di sorvegliato d'Europa a guardiano a pieno titolo del nuovo-vecchio ordine. 

Molto si è discusso se il Congresso di Vienna sintetizzi emblematicamente la cecità di un mondo che non accetta di essere giunto al suo tramonto e si arrocchi in posizioni indifendibili, sognando un impossibile ritorno al passato. Le idee non si cancellano - si è detto. Ma la storia sembra essere piena di epoche in cui le idee, se non proprio cancellate, finiscono per essere nascoste così bene da scomparire per secoli. Potremmo dedurne allora che l'aristocrazia del 1815 ha giocato le sue carte al meglio delle sue possibilità ed erano forse altre le forze che impedivano la Restaurazione: per esempio la stessa rivoluzione industriale, congiuntamente con l'affermarsi del sistema capitalistico. Se così fosse, il sistema di sorveglianza internazionale messo in piedi dalla Restaurazione avrebbe avuto il merito di garantire per alcuni decenni ancora (diciamo, allargandoci un po', fino al 1848) un ordine e una pace europea diversamente impossibili da mantenere. Dopo il 1848, però, il mondo delle parrucche incipriate e tutta l'aristocrazia d'Europa sembrano ormai comparse stonate in un concerto che suona una musica tutta diversa: quella delle nazioni, delle industrie, della febbre coloniale e della corsa alla democrazia...


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mercoledì 19 agosto 2020

11 - Leadership carismatica: Napoleone da giacobino a imperatore

 

Napoleone Bonaparte è un personaggio imprescindibile della storia europea, al punto che gli storici hanno ritenuto necessario inventare un'etichetta storiografica appositamente per lui, meticolosamente ritagliata intorno al suo profilo enigmatico e tagliente: l'età napoleonica... E l'aspetto che più stupisce è che la validità di applicazione di questa categoria storiografica in effetti travalica la sfera storico-politica o militare per allargarsi all'ambito giuridico, alla moda, al costume, all'estetica e al design, all'arte e alla letteratura. Come a dire che l'esperienza del contatto con Napoleone è stata un'esperienza totale. C'è perfino chi sostiene (György Lukacs) che il sentimento della storia, la consapevolezza del suo divenire si sono accesi nelle masse europee, fino ad allora sospese in un orizzonte senza tempo, a seguito delle campagne napoleoniche di conquista paneuropea.  Insomma, quei 20 anni che intercorrono tra il 1795 e il 1815 sono come un tornado che devasta l'Europa con una forza imprevedibile e dirompente, un tifone che sconvolge gli ordinamenti, butta all'aria equilibri plurisecolari, provoca ovunque si abbatta lacerazioni profonde che potranno forse rimarginarsi ma non senza lasciare cicatrici. Sotto i colpi della Grande Armée è tutto un mondo anacronistico, con la sua grandezza arcaica e polverosa, che si riscopre disallineato con i tempi, superato e fragile come il cristallo, pronto ad infrangersi in mille pezzi sotto l'infuriare della bufera della storia. E l'incaricato dal destino ad eseguire questo disegno è Napoleone Bonaparte.

Il suo fulminante percorso non cessa di lasciarci stupefatti: sì, perché sulla carta Napoleone sembra il meno favorito dalle circostanze ad assurgere al ruolo di capo carismatico della nazione francese e poi a mito vivente - nel bene o nel male - di tutte le genti europee. Nato da una famiglia di origine toscana, cresce in un terra lontana dai salotti buoni della capitale, un'isola selvaggia e fiera, endemicamente percorsa da fremiti di autonomismo, una terra sottratta dalla Francia a Genova proprio nell'anno della sua nascita, il 1769. Anche le sue prime mosse nel mondo della politica sembrano maldestre, fuori misura: nutre sentimenti antifrancesi e simpatizza con la causa degli autonomisti còrsi, che finisce per comprometterlo; assume pose filo giacobine in un'epoca nella quale Robespierre domina la scena politica, così l'età del Terrore rischia di travolgere anche lui nel tempo della reazione termidoriana. Ma Napoleone è un abile navigatore, che sa superare secche e scogli per mezzo di un uso spregiudicato delle relazioni sociali: si fidanza con l'ex amante di Barras, Josephine de Beauharnais, donna di conturbante bellezza e spudorata modernità, e per suo tramite entra in contatto con i membri del Direttorio, nuovo organo politico della Francia rivoluzionaria nella fase di ritorno all'ordine sotto l'egemonia borghese. Napoleone sembra solo un giovane, brillante generale, del quale servirsi a piacimento per reprimere disordini interni e sventare colpi di stato legittimisti o neogiacobini. È un tecnico capace, più interessato alla carriera che alla coerenza ideologica (così pare), e per ciò stesso viene risparmiato dall'epurazione che investe la classe dirigente francese all'indomani della caduta di Robespierre. 

Ma un giorno il giovane falco spiccherà il volo librandosi al di sopra di tutti gli altri. Dalla campagna d'Italia alla spedizione d'Egitto, da Marengo ad Austerlitz, Napoleone affronta e piega una coalizione di Stati dopo l'altra: la Gran Bretagna, nemica di sempre; l'Austria, campionessa dell'antico regime; la Prussia, disciplinatissima caserma d'Europa; e poi la Russia, il Regno di Napoli, l'impero Ottomano, il Regno di Sardegna... Napoleone, ovunque vada, porta scompiglio: un nuovo codice civile, una burocrazia efficiente e moderna, tecniche di combattimento all'avanguardia, un uso senza precedenti della comunicazione pubblica. Inventa nuove forme di potere, pericolosamente in bilico tra passato e futuro, come la dittatura plebiscitaria; sostituisce la nobiltà con un ceto di burocrati competenti e ben pagati; incardina una relazione con la Chiesa basata su un differente rapporto di forze; fa rivivere il sogno - e l'incubo - di un'Europa unita sotto una sola bandiera. La disastrosa campagna di Russia e le due sconfitte di Lipsia e di Waterloo, inframezzate dal romanzo febbricitante dei Cento giorni, infrangono le ambizioni sconfinate di un uomo odiato e amato come nessun altro, fonte di ispirazione per infinite opere letterarie ed artistiche, intrappolandolo in un'isola-carcere fuori dalle rotte della civiltà. Tormentato dall'ingombrante passato, corroso dai travasi di bile, se ne va Napoleone in punta di piedi in quel 5 maggio 1821, che ha ispirato un altro indimenticato capolavoro della letteratura italiana: Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro...

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lunedì 2 marzo 2020

10 - Potere al popolo: i francesi fanno la rivoluzione


La rivoluzione francese è un evento epocale della storia europea e, più in generale, di tutto l'Occidente, al punto che molti storici le attribuiscono un valore periodizzante quando affrontano il problema del trapasso dall'età moderna all'età contemporanea. Ma come tutte le date simbolo, anche il famoso 1789 si presta al rischio di essere caricato retrospettivamente di un significato enorme, che probabilmente ne amplifica esageratamente la portata e il significato. Una volta tanto, allora, proviamo ad avvicinarci ad esso in maniera inconsueta cimentandoci in un esercizio di demistificazione, che rimetta in primo piano tutti gli aspetti per i quali la rivoluzione francese può essere giudicata a buon diritto un prodotto del suo tempo, in perfetta continuità con idee, sensibilità, personaggi, episodi dell'età moderna.
La rivoluzione francese è in primo luogo la messa in discussione dell'assolutismo monarchico e la richiesta dell'emanazione di una carta costituzionale, che, negata dal sovrano, viene infine elaborata dai rappresentanti del Terzo Stato (tenendo in scacco il re e i delegati degli ordini privilegiati), ed imposta sostanzialmente con la forza. Un fatto, certo, straordinario se non fosse che lo scontro fra corona e popolo era già andato in scena nell'Inghilterra degli Stuart durante la prima rivoluzione inglese, quando il Parlamento aveva presentato la Petizione dei diritti ed infine, stanco dei giochetti di Carlo I, aveva deliberato di dotarsi di un esercito che garantisse con la forza delle armi la sopravvivenza di quella istituzione rappresentativa e l'incolumità dei suoi membri. Anche la Gloriosa Rivoluzione del 1688 aveva visto l'imposizione di una costituzione ad un sovrano, Guglielmo d'Orange, in questo caso addirittura come passaggio pregiudiziale all'ottenimento della corona.
La rivoluzione francese dà scandalo, poi, perché portò alla esecuzione del re e della regina, rispettivamente Luigi XVI e Maria Antonietta. Ma, ancora una volta, questo fatto era già avvenuto al termine della guerra civile inglese fra lealisti e teste rotonde, quando Carlo I Stuart fu fatto prigioniero, e il Parlamento non perse tempo ad accusarlo di alto tradimento e a decretarne la condanna a morte, che fu eseguita nel 1649.
Durante la rivoluzione francese fu il popolo a diventare protagonista della storia: è vero, ma ciò era già accaduto in passato, ad esempio durante l'ultima fase della guerra dei Trent'anni, nella stagione poi passata alla storia come età delle Fronde. In quella circostanza erano state le due nobiltà, quella antica 'di spada' e quella recente 'di toga', ad insorgere, ma ben presto erano state affiancate da bottegai, artigiani, lavoratori salariati, cioè quella parte di popolo che nel '700 sarebbe stata spregiativamente chiamata 'sanculotti'; e fu proprio il timore del popolo, ed in particolare delle possibili rivolte contadine, a convincere la nobiltà a chiudere il circuito rivoluzionario.
Il governo rivoluzionario incamerò i beni della Chiesa e decretò la nascita del clero di Stato: perché, Enrico VIII Tudor, con l'Atto di Supremazia del 1534, aveva fatto qualcosa di diverso?
Robespierre governò con il pugno di ferro e i metodi del terrore: Cromwell, in fondo, non aveva agito molto diversamente nei confronti del Parlamento, accuratamente epurato e a lui totalmente subordinato.
La rivoluzione francese fu un colpo mortale per l'aristocrazia: sì, ma la rivoluzione industriale lo fu forse ancor di più, perché introdusse l'unica distinzione che da quel momento in poi avrebbe veramente contato: quella tra capitale e lavoro.
La Costituzione del 1793 introdusse il suffragio universale maschile: vero, ma tale disposizione non fu mai applicata. Inoltre, in quanto ad affermazioni di principio, la Dichiarazione di indipendenza americana non era stata certamente meno radicale nel rivendicare l'eguaglianza degli uomini, arrivando addirittura a formalizzare lo sfuggente concetto di diritto individuale alla felicità.
L'esercizio potrebbe continuare a lungo, ma il senso appare ormai chiaro: gli eventi storici particolarmente significativi evidentemente esistono ed ha sicuramente senso utilizzarli come strumenti per delimitare porzioni discrete della storia umana, e tuttavia bisogna resistere alla tentazione di ingigantirli fino al punto di perdere le proporzioni della realtà per come essa poté essere vissuta da quanti non sapevano ancora di essere testimoni di una data simbolo, ma semplicemente credevano di vivere il tempo senza gloria della loro vita...

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venerdì 21 febbraio 2020

9 - L'èra del progresso: il tempo senza ritorno delle macchine


Viviamo nell'età delle macchine e la loro presenza nella nostra vita è così abituale da impedirci di comprendere fino in fondo la portata rivoluzionaria della loro introduzione nella civiltà umana. Il mondo senza macchine è semplicemente inimmaginabile: una realtà intollerabilmente lenta, infinitamente povera di beni materiali, tristemente limitata nelle prospettive, priva di quei minimi standard di benessere che sono oggi alla portata di tutti e che appaiono ai nostri occhi dei veri e propri diritti naturali. Sembra incredibile che la storia della nostra specie sia al 99,99% una storia senza macchine, o - per meglio dire - senza macchine capaci di valorizzare fonti energetiche alternative a quelle umane o animali. Le uniche sorgenti di energia alternativa a quella biologica usate per far funzionare delle macchine, in 4.700 anni di storia, sono state l'energia dell'acqua e del vento. Eppure, le conoscenze per avviare una rivoluzione industriale erano disponibili già nell'età dell'ellenismo, prima della nascita di Cristo, depositate nei dotti volumi delle grandiose biblioteche antiche, come quella di Alessandria d'Egitto, e addirittura tradotte in automi funzionanti con la forza del vapore. E' lecito dunque domandarsi che cosa sia mancato all'antichità, che sia stato invece presente nell'Inghilterra del XVIII secolo, per averle impedito di avviare, a beneficio del mondo, l'èra delle industrie dalla quale non siamo più usciti. Si tratta ovviamente di una domanda molto ardua, e che apre affascinanti scenari ucronici, ovvero di storia alternativa. Non possiamo infatti trattenerci dal fantasticare su come sarebbe ora il mondo se l'industrializzazione fosse iniziata con 17 secoli di anticipo. Proviamo allora a fare il punto.
Certamente la rivoluzione industriale non è stata solo un problema tecnologico, come dimostra il fatto che la catena di innovazioni molto spesso è  stata provocata dallo sviluppo industriale piuttosto che esserne la premessa: alludiamo qui al ben noto "effetto strozzatura", per cui l'aumento di efficienza di un passaggio produttivo si scontrava con l'inefficienza del passaggio precedente o successivo, e stimolava pertanto una rapida risoluzione della strozzatura. Questo fenomeno fu evidente nel settore che inaugurò la rivoluzione industriale, ovvero quello tessile, nel quale, a partire dall'invenzione del flying shuttle, fu tutto un susseguirsi di nuovi telai e di nuovi filatoi, prima idraulici e poi mossi dalla forza motrice del vapore, ciascuno dei quali risolveva singole criticità che i precedenti mettevano in luce. Si può allora pensare che un deciso contributo sia venuto dal diffondersi della mentalità imprenditoriale, che alcuni economisti hanno posto in relazione con lo sviluppo del protestantesimo ed in particolare del puritanesimo. Quest'ultima variante cristiana poneva infatti l'accento sul successo economico come segno della benevolenza divina e imponeva una sobrietà di vita che consentiva margini di risparmio da reinvestire in nuove attività economiche. Connesso alla mentalità capitalistica c'è il tema delle opportunità offerte da un sistema politico istituzionale, quello inglese, che rispettava le libertà personali e consentiva alle forze economiche del paese di avere voce in capitolo sull'indirizzo di politica economica. Oltre a questo, l'impero coloniale inglese aveva involontariamente creato una vasta area di libero scambio relativamente stabile e ben collegata, che forniva straordinarie possibilità di successo economico a chi avesse le idee giuste da realizzare.  Per fortunata coincidenza l'Inghilterra era anche una terra ricca di giacimenti di ferro e di carbone, le materie prime che alimentarono la prima industrializzazione.Non va dimenticato neppure che il XVIII secolo è il periodo in cui vedono la luce le teorie economiche neoclassiche, che individuano alcuni meccanismi cruciali del funzionamento del sistema di creazione della ricchezza, aumentando la consapevolezza teorica sulle scelte più opportune per lo sviluppo industriale. L'Inghilterra infine aveva larga disponibilità di manodopera in seguito alla crescita demografica di inizio '700, parte della quale veniva espulsa dalle campagne in cui la trasformazione delle tecniche agricole aveva ridotto la capacità di assorbimento della forza lavoro. Questi lavoratori, sradicati dalla loro comunità di villaggio, si riversavano nelle città in cerca di un'occupazione mantenendo costantemente bassi i salari. Per tutte queste ragioni, e per molte altre che qui non è possibile ricordare, nel XVIII secolo si sono allineate in una congiuntura perfetta, in parte anche frutto della casualità, le condizioni necessarie perché il fenomeno dell'industrializzazione si mettesse (è proprio il caso di dirlo) in moto, dando avvio ad un'èra di progresso materiale senza precedenti, e consegnandoci al tempo senza ritorno delle macchine...

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mercoledì 22 gennaio 2020

8 - Globalisti, politicamente corretti, inguaribili ottimisti: gli illuministi accendono l'Europa



Nel XVIII secolo viene a maturazione quel radicale mutamento metodologico e di prospettiva nella teoria della conoscenza, che aveva mosso i suoi primi passi con il Rinascimento italiano. L'illuminismo fa proprio il metodo scientifico di Galilei, basato sui due pilastri dell'osservazione empirica della realtà e della quantificazione matematica dei fenomeni naturali. Accoglie dallo scienziato pisano, inoltre, la critica al dogmatismo e al principio di autorità, che sono presenti implicitamente e in modo dispotico in ogni tradizione consolidata. Quando gli illuministi fanno appello alla ragione, definendola l'unico strumento in grado di dissipare il buio della superstizione e dell'ignoranza per far trionfare la luce del bene e della verità, in effetti non fanno altro se non rifiutare di accettare aprioristicamente e acriticamente le tradizioni depositatesi in tanti secoli di storia. Se volessimo fare un paragone con la vita biologica di una persona, potremmo sentire la tentazione di proiettare nei secoli del Medioevo l'immagine di una umanità bambina, incline a ricevere passivamente e senza discuterli gli ammonimenti e la visione del mondo dei genitori, e nell'età dell'illuminismo una umanità adolescente, che rimette in discussione verità, metodi e strumenti per trovare una propria identità basandosi sull'esercizio della propria intelligenza applicata ad un'esperienza aggiornata rispetto ad un mondo in continuo cambiamento.
Gli illuministi sono animati da una visione che, per usare un termine improprio ma suggestivo, potremmo definire 'globalista': essi teorizzano la totale uguaglianza fra gli uomini e svalutano le identità nazionali, le tradizioni, le barriere linguistiche e religiose come differenze di superficie emerse da una storia intesa come frutto della cieca irrazionalità. Al di là delle apparenze, tutti gli uomini e tutte le donne sono accomunati dall'intelligenza e dalla logica. Il cosmo stesso è un'entità organizzata secondo leggi rigorose e matematiche, come ha dimostrato Newton. Le verità della logica rimangono immutabili a dispetto di ogni cultura, di ogni nazione, di ogni fede. Si tratta, piuttosto, di risvegliare la mente intorpidita di quelle persone che, o per pigrizia o per mancato accesso all'istruzione, non sanno di avere la ragione e non sono in grado di servirsene, e pertanto continuano a vivere lasciandosi guidare da ignoranza e irrazionalità. A questo serve la realizzazione di quella titanica opera di divulgazione culturale rappresentata dai 17 volumi dell'Enciclopedia, curata e in parte anche scritta da Diderot, d'Alembert e d'Holbach. Diffondere la conoscenza, aiutare filantropicamente l'umanità ad uscire dalla condizione di minorità tipica di chi si accontenta di replicare percorsi già noti e non ha il coraggio di interrogarsi criticamente per trovare una verità più profonda.
L'illuminismo ha una carica contestatrice e riformatrice, che rifiuta tuttavia il ricorso a forme violente e irrazionali di rimessa in discussione dell'ordine esistente. L'ideale illuministico (o, perlomeno, dell'illuminismo moderato) è quella di una rivoluzione dall'alto: i philosophes avvicinino i potenti, educandoli al metodo scientifico e alla elaborazione critica della realtà; i re si aprano alle nuove conoscenze e si adoperino per imboccare la strada del progresso economico, sociale, politico, morale; si dia avvio ad un vasto progetto di riforme per rifondare la civiltà europea su basi più solide e guardare al futuro con ottimismo. Su questo percorso ideale si avviano alcuni sovrani d'Europa in una indimenticabile stagione di collaborazione tra cultura e potere che è passata alla storia come 'dispotismo illuminato'. Caterina II Romanov, Federico II Hohenzollern, Maria Teresa d'Asburgo e i figli di lei Giuseppe II e Pietro Leopoldo danno luogo tra gli anni '60 e '80 del Settecento ad una vasta azione riformatrice che si traduce in nuovi codici civili e penali, abolizione della tortura e riduzione nell'applicazione della pena di morte, riorganizzazione del fisco, ridimensionamento del ruolo della Chiesa, estensione del criterio della tolleranza, stimolo alla nascita di un sistema dell'istruzione pubblica, riflessione sulla necessità di un contratto scritto che sancisca in modo inequivocabile ruolo, competenze e limiti del potere monarchico al cospetto del suo popolo. Questa stagione breve, ma significativa, non poté risolvere la contraddizione di un sistema basato su fondamenti incompatibili con la visione illuministica (si pensi al solo concetto di uguaglianza degli uomini), e mostrò infatti tutta la sua natura estemporanea e velleitaria. Ma sul finire di quegli anni '80 già altri fermenti giungevano a maturazione e sarebbe di lì a poco spirato un vento forte abbastanza da sradicare i privilegi e le certezze più tenacemente avvinte alla tradizione, abbattere un sistema e rimescolare tutte le carte in un mazzo dal quale sarebbe venuto alla luce, pochi anni dopo, il nostro tempo...

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martedì 14 gennaio 2020

7 - ‘Giù le mani dal Parlamento’: la libertà inglese sfida l'assolutismo



Mentre la guerra dei Trent'anni è entrata nella fase finale, in molti paesi europei si combatte una parallela guerra interna, che mette a repentaglio la stabilità degli stati e gli equilibri faticosamente raggiunti dopo decenni di conflitto. La Spagna si trova a dover fronteggiare ben tre rivolte: quella catalana, quella portoghese e quella napoletana; in Francia infuriano le Fronde; la Polonia affronta la rivolta dei Cosacchi; l'Inghilterra precipita in una guerra civile passata alla storia con il nome di Prima rivoluzione inglese. L'elemento comune a queste crisi è la contestazione dell'assolutismo monarchico, ma l'esito di ciascun conflitto è diverso a seconda del paese. In Francia, la monarchia guidata dal cardinale Mazarino riesce a separare i ceti sociali ribelli e a schiacciare le rivolte, riaffermando la centralità della monarchia: e infatti il paese si avvia ad essere la roccaforte dell'assolutismo nell'Europa continentale. In Spagna, la monarchia riesce a domare due rivolte su tre, cioè quella catalana e quella napoletana, ma perde il controllo del Portogallo, che ridiventa uno stato indipendente. Ad ogni modo il declino della Spagna è ormai segnato e diventerà manifesto all'indomani della sconfitta subita ad opera della Francia e delle Province Unite olandesi.
In Inghilterra si consuma la crisi più grave fra quelle citate: la monarchia si trova ad affrontare un Parlamento sempre più consapevole della propria forza, mentre il paese precipita in una guerra civile senza precedenti. Qual è la sua particolarità? Il fatto che si formino due centri di potere politico l'uno antagonista all'altro: la monarchia, che può contare sul sostegno del clero anglicano, della grande nobiltà e della corte; e il parlamento, sostenuto dalla borghesia manifatturiera e mercantile, dalla piccola nobiltà agraria, apertasi alla mentalità imprenditoriale, dai puritani, ardenti sostenitori dell'organizzazione presbiteriana e avversari dell'episcopalismo anglicano. Come si arriva a tale radicalizzazione delle posizione dell'una e dell'altra parte? Alla morte della regina Elisabetta, il trono era passato alla dinastia degli Stuart. Giacomo I e poi Carlo I mostrarono di disinteressarsi dei ceti produttivi, e si impegnarono invece nella riaffermazione del potere del re, che sfruttava la gerarchia ecclesiastica anglicana per perseguire i propri fini. Queste ambizioni dei monarchi non facevano però i conti con una cultura che andava cambiando ogni giorno di più: le teorie giusnaturaliste e contrattualiste ridisegnavano il significato dello stato e il ruolo della monarchia; inoltre, il puritanesimo, ormai diffuso in tanta parte del paese, avversava naturalmente qualsiasi intromissione in questioni relative alla fede e al lavoro da parte di un'autorità esterna, e sentiva più affine alla propria sensibilità un approccio 'democratico' e partecipato dal basso. Facendosi forte di un vasto appoggio nella società e dimostrando una profonda consapevolezza politica, oltre che una notevole capacità organizzativa, il Parlamento porta avanti un conflitto a muso duro con il re, un vero e proprio braccio di ferro, che, di fronte alle scorrettezze di Carlo I, precipita Inghilterra, Scozia e Irlanda in una guerra civile lunga 8 anni (1642-49). L'eroe di questa guerra è Oliver Cromwell, mitico condottiero puritano, che addestra l'esercito parlamentare secondo principi completamente nuovi (New Model Army), e ne fa un collettivo disciplinato e motivato alla vittoria. Il re, fatto prigioniero durante l'ultima battaglia, viene processato e condannato a morte, mentre viene proclamata la repubblica.
I disordini, la litigiosità del Parlamento, la presenza di tendenze estremistiche convincono Cromwell che la repubblica ha bisogno di un Lord Protettore e si autodesigna tale. Il suo governo licenzia alcune riforme importanti, che vanno a rafforzare la crescita economia del paese, abolendo ogni residuo istituto feudale, e lo proiettano sullo scenario internazionale quale potenza marittima di prima grandezza. Il prezzo pagato è una gestione sempre più personalistica ed autoritaria del potere. Alla morte di Cromwell, avvenuta nel 1658, il figlio Richard prova ad affermare l'ereditarietà della carica di Lord Protettore, ma viene presto liquidato, mentre il Parlamento si convince che il ritorno degli Stuart sia ormai indifferibile: d'altro canto, nessun re avrebbe mai più osato sfidarlo.
Il Parlamento si sbagliava: nell'arco di poco più di 20 anni, il conflitto Stuart-Parlamento riesplode in tutta la sua violenza: e sarà la Gloriosa Rivoluzione. E' questo un capitolo importante della storia inglese, che pone sul trono del futuro Regno Unito Guglielmo d'Orange, statolder delle Province Unite. Con il Bill of Rights nasce la monarchia costituzionale inglese, ed inizia nelle isole britanniche un modello politico istituzionale alternativo all'assolutismo dell'Europa continentale. Di lì a poco, la dinastia d'Orange-Stuart è sostituita da quella di ascendenza tedesca degli Hannover: da quella casata deriva quella degli Windsor, cioè la dinastia ancora oggi regnante in Gran Bretagna...

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