venerdì 19 ottobre 2018

2 - Un dovere assoluto: Giustiniano rifà l'impero

     
Mentre in Occidente continua l'emorragia di abitanti che dalle città fuggono in direzione delle campagne, in un paesaggio che va sempre più rinselvatichendo, ad Oriente la civiltà greco-romana, dopo la paura per le invasioni barbariche, torna a prosperare. A Costantinopoli c'è chi concepisce progetti ambiziosi: ora che si sono fatti i compiti per casa (riforme strutturali da lungo tempo attese, come la sintesi ordinata di tutte le leggi prodotte da almeno tre secoli, la lotta alle eresie che incrinano la compattezza dello Stato, il consolidamento dell'esercito e provvedimenti che favoriscono la crescita economica), ora che tutto sembra tornato a posto come sempre, come in fondo era ragionevole aspettarsi e non poteva non accadere, è arrivato il momento di reimpossessarsi di ciò che è di diritto territorio romano, sottratto temporaneamente dalla ferocia dei barbari alla disponibilità dell'unico, vero imperatore; anzi, da lui benevolmente concesso ai capi goti, alamanni, franchi, vandali, burgundi affinché lo governassero in nome e per conto dell'unica autorità politica legittimata ad esercitare il potere, cioè la sua. E' tempo di renovatio imperii.
E la vittoria della pacata ragione della civiltà sulla brutalità appare all'inizio fin troppo facile. I Vandali, che avevano fatto tremare il mondo, si sfaldano in pochi mesi sotto i colpi di un generale competente e determinato, Belisario, e non lasceranno nella storia altra eredità che il ricordo sempre più sbiadito della loro ferocia e della loro inadeguatezza a comprendere la civiltà che avevano contribuito a distruggere. La lotta contro gli Ostrogoti è più lunga e complessa, e si divide in un primo e in un secondo tempo: dapprima le truppe bizantine dilagano con una certa facilità in Italia, per poi incontrare una inattesa capacità di resistenza, che prolunga di diversi anni la soluzione del conflitto ed il solenne momento della prammatica sanzione, la riunificazione delle due Rome, l'ovest riportato dentro all'impero dall'est.
Per quanto in palio ci sia la liberazione dalla schiavitù dei barbari, la guerra greco-gotica non vede tutta la componente etnica romana schierarsi compatta contro gli Ostrogoti: in parte perché la guerra comporta comunque ulteriore rovina e distruzione in un momento in cui era parsa possibile una pacifica coesistenza tra conquistatori e conquistati; in parte perché alcuni temono che le loro condizioni di vita, sotto l'impero bizantino, peggioreranno. Ci sono poi striscianti tensioni tra le autorità ecclesiastiche: da un lato il vescovo di Roma, che vanta di custodire le tombe di san Pietro e san Paolo, e di essere il vero vicario di Cristo in terra; dall'altra il patriarca di Costantinopoli, sempre più serrato nell'abbraccio mortale con l'imperatore bizantino. Questioni dottrinarie sottili e dibattute a colpi di argomenti capziosi contribuiscono ad allontanare le due sponde del Mediterraneo, temporaneamente riunificato sotto il protagonista indiscusso di questo ultimo scorcio di antichità; e il suo nome, nel bene o nel male, è diventato leggenda: Giustiniano...

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venerdì 5 ottobre 2018

1 - Sopravvissuti: la difficile convivenza fra barbari e romani


Da molto tempo la storiografia contemporanea si sforza di ribaltare il giudizio negativo che gli uomini dell'Umanesimo e del Rinascimento espressero usando per primi la parola 'Medioevo'. Ai loro occhi tra la civilissima età antica e il raffinato mondo delle signorie cinquecentesche si estendevano dieci secoli di sprofondamento nell'ignoranza, nella superstizione e nella barbarie. Una lunghissima età di mezzo, che aveva interrotto la normale dinamica di confronto dialettico, di dialogo, di imitazione ed emulazione di una generazione rispetto ai valori di quella precedente e, più in generale, di rapporto fecondo con la cultura passata. Dopo secoli di sviluppo progressivo e costante, l'umanità aveva conosciuto in tutti i campi un deciso arretramento, dal quale si era potuta riscuotere solo a fatica dopo mille anni.
Non da oggi, gli storici si sforzano invece di sottolineare quanto invece il Medioevo rappresenti una civiltà originale e dinamica, ricca di energie e capace di straordinarie innovazioni tecnologiche, culturali, sociali, economiche, spirituali. Molte di questo innovazioni fanno ancora parte del nostro mondo: le cattedrali, i comuni, le banche, gli strumenti finanziari, i concetti di cortesia e cavalleria, uno sterminato repertorio di fiabe, i segni della mezzadria che ha trasformato il volto delle nostre campagne, i monasteri e le tradizioni paesane che sopravvivono in un mondo tanto mutato.
La prima rivalutazione del Medioevo risale alla prima metà del XIX secolo con il Romanticismo. In polemica con il razionalismo settecentesco, gli intellettuali romantici accordavano al Medioevo le loro preferenze e vedevano in esso il trionfo di quei valori spirituali che soli possono dare significato alla vita. Il Medioevo è per loro anche il brodo primordiale, dal quale ad un certo punto ha preso vita l'Europa delle nazioni, riottosa a qualunque tentativo di controllo centralizzato, con i suoi tanti popoli dalle identità uniche ed irriducibili.
Ma il Medioevo è anche altro: è, ad esempio, l'ultimo momento nella storia occidentale in cui la natura torna a guadagnare terreno sulla specie umana. Nei secoli tormentati dalle invasioni barbariche le sterminate province dell'impero romano si ricoprono di foreste di faggi, di querce, di carpini, di salici; i fiumi descrivono anse sempre più tortuose fino ad impaludarsi, trasformando in acquitrini vaste pianure un tempo messe a coltura. Lupi, daini, volpi, cinghiali, orsi si aggirano tra le macerie intrise di sangue di una civiltà tramontata. Entrano nelle chiese dalle volte crollate e dalle porte divelte, in un tempo in cui i santi affrontano le fiere con la forza della preghiera e i papi si stringono ai fedeli con la disperazione di chi sa che la fine del mondo è vicina...


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