mercoledì 19 dicembre 2018

6 - La fine del primo millennio: invasioni, anarchia, castelli e conversioni

A distanza di trent'anni dalla morte di Carlo Magno, il grande impero che aveva temporaneamente riportato ordine e unità nella disgraziata Europa dei barbari viene smembrato in tre tronconi: il Regno dei Franchi occidentali (leggi Francia), il Regno dei Franchi orientali (leggi Germania) e la Lotaringia. Quest'ultimo era un regno eterogeneo comprendente l'Italia centro-settentrionale e una regione ibrida a nord delle Alpi, che si estendeva, attraverso i Paesi Bassi, fino al mare del Nord, a fungere da cuscinetto tra i primi due; al suo interno ricadeva Aquisgrana. E' vero che in base agli accordi stabiliti nel trattato di Verdun (843) Lotario conservava il titolo imperiale e una sorta di superiorità morale sui fratelli, sovrani degli altri due regni; ma di fatto la breve parabola del Sacro Romano Impero può, sin da questo momento, considerarsi conclusa.
Seguono anni in cui l'Europa sperimenta una terribile disgregazione politica, che la trasformerà in un complicato mosaico di centinaia di potentati locali, in perpetua lotta fra loro, a volte alleati, a volte contrapposti, sempre riottosi di fronte ai tentativi di ripristinare anche soltanto una condizione di parziale compattezza e unità. E' insomma l'anarchia.
Le tappe fondamentali che conducono dall'unità alla frammentazione e dall'ordine al caos possono essere così sinteticamente riassunte:

  • nell' 877 Carlo il Calvo, divenuto temporaneamente imperatore, emana il capitolare di Quierzy, una legge che ha validità universale e che, pur senza concederla espressamente, favorisce il consolidarsi di un'abitudine: quella di lasciare in eredità i benefici (leggi feudi) ed i titoli ad essi connessi, di cui gode la più importante aristocrazia carolingia (conti, duchi, marchesi), ai propri figli, di modo che si vengono a formare vere e proprie dinastie di nobili. Poiché le terre e i poteri necessari per amministrarle vengono riconosciuti giuridicamente ai vassalli, essi finiscono per comportarsi come tanti piccoli sovrani di altrettanti piccoli regni, e il loro dovere di ubbidienza all'imperatore si allenta moltissimo;
  • tra la seconda metà dell'IX secolo e il X secolo si abbatte sull'Europa un fenomeno migratorio di vaste proporzioni, che assume le caratteristiche di un'invasione violenta. O forse, più che di invasione, sarebbe meglio parlare di incursioni efferate a scopo di rapina, che lasciano una scia di terrore, distruzione e morte al punto da segnare un'epoca. Genti del nord, i Normanni, chiamati anche Vichinghi, Rus, e Varieghi; genti dell'est, gli Ungari, attorno ai quali il folklore costruisce il personaggio per eccellenza simbolo della disumanità, l'orco; genti del Sud, i Saraceni, pirati senza scrupoli che insidiano gli abitati costieri abbandonandosi a razzie e a rapimenti per ottenere ingenti riscatti. Di fronte a questa sciagura, ciò che resta dell'impero carolingio mostra tutte le sue fragilità: difficoltà di reclutamento dell'esercito, lentezza negli spostamenti, incapacità di reggere, da parte della cavalleria pesante franca, agli assalti di un nemico abile nella guerriglia. Nella paralisi del potere centrale, che non tutela più la vita delle persone, prevale la politica del "si salvi chi può": e sorgono così in tutta Europa i castelli. Sorgono quasi sempre senza l'autorizzazione imperiale. Sono costruiti da chi ha i mezzi materiali per edificarli, e sono così tanti da diventare una componente essenziale del nostro immaginario legato al Medioevo. Ai castelli si accompagna la signoria di banno: ovvero il riconoscimento giuridico di un potere politico che i proprietari dei castelli esercitano di fatto sui villaggi cui offrono protezione. Lo esercitano - va da sé - al posto del sovrano: ed è anche così che il potere monarchico finisce per ridursi, decennio dopo decennio, ad un vuota formalità;
  • nel 1037 Corrado il Salico, per alcuni anni imperatore del Sacro romano impero, emana la Constitutio de feudis, che amplifica l'effetto disgregatore del già citato capitolare di Quierzy: ora anche i piccoli feudi possono essere legittimamente ceduti in eredità, e ciò impedisce  qualunque forma di controllo diretto da parte della corona. Si tratta, ovviamente, di un provvedimento estorto all'imperatore in un momento di particolare debolezza, ossia durante una ribellione dei vassalli italiani all'autorità del potere centrale. E certifica ancora una volta, se ancora non fosse sufficientemente chiaro, che l'Impero di Carlo Magno è ormai soltanto un pallido ricordo...

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lunedì 3 dicembre 2018

5 - Carlo Magno, imperatore d'Europa: il sistema feudale



Carlo Magno, fondatore e padre nobile dell'Europa. Si potrebbe formulare così, in modo super sintetico, la teoria suggestiva che ritrova nell'azione del grande imperatore le radici della nostra traballante e contraddittoria identità europea. Ma fino a che punto il ragionamento regge? Non si tratterà di una pura e semplice forzatura storica?
Per rispondere a questa domanda, proviamo a riflettere su alcuni aspetti del suo lungo regno. La prima osservazione, molto banale, è che l'impero carolingio non comprende tutti gli stati che oggi fanno parte dell'Europa unita: ne sono esclusi la Spagna, il Portogallo, la Danimarca, i popoli dell'Europa orientale, l'Italia meridionale. Più che un impero europeo, sembra un regno franco-tedesco. E non a caso gli storici di entrambi i paesi più volte si sono contesi il suo nome, innalzandolo al rango di eroe nazionale, con il malcelato sottinteso di una propria supposta superiorità militare, politica e culturale. Non c'è quindi sovrapponibilità territoriale, ma va riconosciuto che l'Europa di oggi è effettivamente un'unione di stati a trazione franco-tedesca, sebbene fra i paesi fondatori figurino anche l'Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Ed è dal superamento della contrapposizione fra Francia e Germania che nasce l'idea contemporanea di Europa.
Se consideriamo poi il dato religioso, la storia ci racconta che Carlo Magno si impegnò a lungo in una feroce campagna di conquista e conversione forzata di tutti i popoli non ancora investiti dalla rivoluzione del cristianesimo, primi fra tutti i Sassoni. Se l'Europa di oggi è uno straordinario museo a cielo aperto nel quale non si contano scrigni d'arte religiosa, duomi, cattedrali, pievi e campanili lo si deve anche al contributo di Carlo Magno e alla alleanza storica dei Franchi con la Chiesa romana. Di questa identità cristiana, fortissima in un'età che aveva visto espandersi alla velocità della luce l'impero arabo, sembrano essersi perse le tracce nell'Unione europea di oggi: prevale lo spirito illuministico, che dal XVIII secolo rinchiude la sfera del sacro nell'ambito del privato; o forse, più facilmente, il neo-paganesimo dell'età del consumismo e dell'adorazione liturgica del prodotto. Ad ogni modo la compattezza dell'unità cristiana, conquistata anche grazie al contributo di Carlo Magno, si era infranta per sempre nel 1517, con l'età delle riforme protestanti, che hanno contribuito notevolmente a creare un'Europa con due velocità e due diverse sensibilità: quella dei paesi del nord, riformati, e quella dei paesi mediterranei, cattolici.
Dal punto di vista dell'organizzazione dello stato, il sistema feudale - all'epoca di Carlo Magno - si fondava su un precario equilibrio fra gestione centralizzata e autonomie locali: ogni vassallo riscuoteva le tasse, amministrava la giustizia, progettava e realizzava le opere pubbliche, reclutava le milizie; ma, nel suo operato, doveva rendere conto all'imperatore ed adeguarsi alle norme 'comunitarie' (cioè imperiali), che avevano valore prevalente sulle leggi e le consuetudini locali. Per quanto labile, si può cogliere in questa struttura una generica rassomiglianza con l'architettura dell'Unione europea, che contempera l'autonomia politica degli stati membri e la necessità di un coordinamento e di una sintesi tra punti di vista ed interessi divergenti.
Come ha dimostrato la storia dell'impero carolingio, riuscire a mantenere in equilibrio un organismo così complesso, in cui bisogna continuamente negoziare il punto di caduta tra forze accentratrici e spinte centrifughe, soprattutto quando si attraversano tempi perigliosi, è molto complicato: ed anche in questo caso, il passato sembra suggerirci una chiave di lettura riguardo alla crisi dell'Europa che stiamo attraversando, e ci offre una prospettiva non proprio consolatoria...

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Sulle reliquie mortali di Carlo Magno

Chiesa di san Claudio al Chienti: vero luogo di sepoltura di Carlo Magno?

mercoledì 21 novembre 2018

4 - La riscossa dei beduini: l'Islam conquista il mondo



Il mondo arabo è rimasto per secoli ai margini dei grandi processi di trasformazione storica che interessavano le regioni del Vicino Oriente e del bacino del Mediterraneo. In questa lunga fase ha contrapposto al modello dei grandi regni centralizzati un'organizzazione di tipo tribale, che fondava la propria ricchezza sugli scambi di prodotti trasportati attraverso le antiche vie carovaniere, tracciate tra le dune sabbiose e i ciottoli del deserto arabico. Alla conflittualità permanente fra clan, che caratterizzava la società pre-islamica dei beduini, si sovrapponeva la spontanea solidarietà dei nomadi del deserto nei momenti di conflitto con le civiltà stanziali, più progredite e ricche, che avevano abbracciato un diverso progetto di sviluppo economico e sociale. Il profeta Muhammad nasce all'intersezione tra questi due mondi: è cittadino di una grande città, La Mecca, sede del santuario che ospita la pietra nera e meta di pellegrinaggi da tutta la penisola arabica; d'altro canto, vive in pieno la vocazione nomade dei beduini, dedicandosi a viaggi commerciali che lo mettono in contatto con le grandi religioni monoteistiche del tempo, cioè l'ebraismo e il cristianesimo. Dopo aver contratto un matrimonio con una vedova ricca, colta e più anziana di lui, Khadigia, Muhammad vive una crisi spirituale che lo porta a ritirarsi in isolamento e in preghiera alla periferia della Mecca; è in queste circostanze che comincia ad avere delle visioni angeliche. Accoglie con scetticismo e vivo rifiuto le rivelazioni di cui, suo malgrado, è testimone, fino a quando proprio da Khadigia e dal suocero è spinto ad abbandonarvisi e ad abbracciare il suo ruolo di profeta. Sulle prime, l'attività di proselitismo ha scarso successo, ed anzi finisce per inimicargli il suo stesso clan, che lo ripudia: si tratta di un provvedimento estremo, che nella società araba del tempo coincideva con la morte sociale del ripudiato. Siamo ormai nel 622 quando avviene l'egìra, evento che costituisce per il mondo arabo l'anno zero dello storia: Muhammad abbandona La Mecca per Yatrib, poi ribattezzata Medina, città del profeta. I primi successi si registrano con il giuramento di Aqaba, che consiste nella conversione di 75 esuli meccani. A partire dal 623 inizia un'attività di guerriglia nei confronti delle ricche carovane che partono dalla Mecca; il gruppo sparuto dei convertiti si rinforza, si amplia e si dota di un tesoro. Si giunge per questa via allo scontro frontale tra Musulmani e Meccani: è dell'11 gennaio 630 la marcia trionfale di Muhammad sulla Mecca. Alla distruzione degli idoli pre-islamici si accompagna la conferma del valore sacro della pietra nera, della Kaaba, e di tutta la città. L'aristocrazia meccana è salva.
E' l'alba di una nuova èra; il mondo ancora non lo sa, ma nel giro di pochi anni niente sarà più lo stesso...

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venerdì 2 novembre 2018

3- Guardare avanti: Italia, terra longobarda



Giustiniano sognava di passare alla storia come restitutor orbis, il restauratore dell'impero romano, istituzione provvidenziale e universale, coincidente con la civiltà, e destinata ad estendere il suo caldo abbraccio fino agli estremi  confini della terra. Sul letto di morte, rivolgendo il pensiero al lungo tempo del suo regno, avrà potuto compiacersi per i risultati raggiunti e avrà chiuso gli occhi serenamente al pensiero che il mondo romano non tramontava insieme a lui, che gli sarebbe sopravvissuto, ed altri imperatori avrebbero governato - come da secoli accadeva - le sorti del mondo. Però la storia prese una piega inaspettata. Solo 3 anni dopo la sua scomparsa, in Italia calava un popolo feroce e brutale, dalla lunga barba, che occupò i territori appena liberati, prima ancora che ci fosse il tempo per i superstiti romani di riprendersi dalla lunga guerra. Questi 'longo bardi' non guardavano in faccia a nessuno, incendiavano chiese, sgozzavano indistintamente anziani, bambini, sacerdoti e vescovi, distruggevano quanto rimaneva in piedi dopo le scorrerie dei tanti invasori che li avevano preceduti. Una razza infame, disumana, completamente fuori dalla civiltà. I bizantini, occupati a non restare travolti da analoghi movimenti migratori nei Balcani, non si potevano permettere il lusso di rischiare; ed arretravano, puntando a tenere le posizioni solo nelle aree ben collegate via mare al resto dell'impero: Roma, le isole, Calabria e Puglia, Ravenna. E Venezia. Una città che era un cantiere in costruzione, edificata in una delle zone più inospitali d'Italia. Patria di profughi di guerra, in cerca solo di un domani.
Con il dilagare dei Longobardi, viene meno, per la prima volta da molti secoli, l'unità politica della penisola: un fatto che si rivelerà per lungo tempo irreversibile, se si pensa che quell'unità non verrà riconquistata mai, neppure per un attimo, prima del 1870, con la breccia di Porta Pia.
Alla fine, però, anche i Longobardi finiscono per restare soggiogati dalla superiorità della cultura latina. Il nome fondamentale per questa transizione verso la coesistenza pacifica è quello della regina bàvara Teodolinda, che favorisce la cristianizzazione dei Longobardi, anche grazie alla cooperazione del papa Gregorio I Magno, altra figura cruciale in quel difficile passo, tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo.
Mentre i rapporti con Costantinopoli si vanno raffreddando, anche a causa del successo temporaneo in Oriente del movimento iconoclasta, il papa si lega di un rapporto sempre più stretto con i Franchi e con una politica astuta comincia ad edificare il futuro Stato della Chiesa, ottenendo da Liutprando il castello di Sutri (restituito a lui personalmente, invece che all'imperatore bizantino) e la Pentapoli, con la bellissima capitale Ravenna. Siamo alla fine dell'VIII secolo ed i nuovi padroni d'Italia sono al culmine della potenza. Loro non lo sanno ancora, ma il tempo - anche per loro - sta già per scadere...

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venerdì 19 ottobre 2018

2 - Un dovere assoluto: Giustiniano rifà l'impero

     
Mentre in Occidente continua l'emorragia di abitanti che dalle città fuggono in direzione delle campagne, in un paesaggio che va sempre più rinselvatichendo, ad Oriente la civiltà greco-romana, dopo la paura per le invasioni barbariche, torna a prosperare. A Costantinopoli c'è chi concepisce progetti ambiziosi: ora che si sono fatti i compiti per casa (riforme strutturali da lungo tempo attese, come la sintesi ordinata di tutte le leggi prodotte da almeno tre secoli, la lotta alle eresie che incrinano la compattezza dello Stato, il consolidamento dell'esercito e provvedimenti che favoriscono la crescita economica), ora che tutto sembra tornato a posto come sempre, come in fondo era ragionevole aspettarsi e non poteva non accadere, è arrivato il momento di reimpossessarsi di ciò che è di diritto territorio romano, sottratto temporaneamente dalla ferocia dei barbari alla disponibilità dell'unico, vero imperatore; anzi, da lui benevolmente concesso ai capi goti, alamanni, franchi, vandali, burgundi affinché lo governassero in nome e per conto dell'unica autorità politica legittimata ad esercitare il potere, cioè la sua. E' tempo di renovatio imperii.
E la vittoria della pacata ragione della civiltà sulla brutalità appare all'inizio fin troppo facile. I Vandali, che avevano fatto tremare il mondo, si sfaldano in pochi mesi sotto i colpi di un generale competente e determinato, Belisario, e non lasceranno nella storia altra eredità che il ricordo sempre più sbiadito della loro ferocia e della loro inadeguatezza a comprendere la civiltà che avevano contribuito a distruggere. La lotta contro gli Ostrogoti è più lunga e complessa, e si divide in un primo e in un secondo tempo: dapprima le truppe bizantine dilagano con una certa facilità in Italia, per poi incontrare una inattesa capacità di resistenza, che prolunga di diversi anni la soluzione del conflitto ed il solenne momento della prammatica sanzione, la riunificazione delle due Rome, l'ovest riportato dentro all'impero dall'est.
Per quanto in palio ci sia la liberazione dalla schiavitù dei barbari, la guerra greco-gotica non vede tutta la componente etnica romana schierarsi compatta contro gli Ostrogoti: in parte perché la guerra comporta comunque ulteriore rovina e distruzione in un momento in cui era parsa possibile una pacifica coesistenza tra conquistatori e conquistati; in parte perché alcuni temono che le loro condizioni di vita, sotto l'impero bizantino, peggioreranno. Ci sono poi striscianti tensioni tra le autorità ecclesiastiche: da un lato il vescovo di Roma, che vanta di custodire le tombe di san Pietro e san Paolo, e di essere il vero vicario di Cristo in terra; dall'altra il patriarca di Costantinopoli, sempre più serrato nell'abbraccio mortale con l'imperatore bizantino. Questioni dottrinarie sottili e dibattute a colpi di argomenti capziosi contribuiscono ad allontanare le due sponde del Mediterraneo, temporaneamente riunificato sotto il protagonista indiscusso di questo ultimo scorcio di antichità; e il suo nome, nel bene o nel male, è diventato leggenda: Giustiniano...

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venerdì 5 ottobre 2018

1 - Sopravvissuti: la difficile convivenza fra barbari e romani


Da molto tempo la storiografia contemporanea si sforza di ribaltare il giudizio negativo che gli uomini dell'Umanesimo e del Rinascimento espressero usando per primi la parola 'Medioevo'. Ai loro occhi tra la civilissima età antica e il raffinato mondo delle signorie cinquecentesche si estendevano dieci secoli di sprofondamento nell'ignoranza, nella superstizione e nella barbarie. Una lunghissima età di mezzo, che aveva interrotto la normale dinamica di confronto dialettico, di dialogo, di imitazione ed emulazione di una generazione rispetto ai valori di quella precedente e, più in generale, di rapporto fecondo con la cultura passata. Dopo secoli di sviluppo progressivo e costante, l'umanità aveva conosciuto in tutti i campi un deciso arretramento, dal quale si era potuta riscuotere solo a fatica dopo mille anni.
Non da oggi, gli storici si sforzano invece di sottolineare quanto invece il Medioevo rappresenti una civiltà originale e dinamica, ricca di energie e capace di straordinarie innovazioni tecnologiche, culturali, sociali, economiche, spirituali. Molte di questo innovazioni fanno ancora parte del nostro mondo: le cattedrali, i comuni, le banche, gli strumenti finanziari, i concetti di cortesia e cavalleria, uno sterminato repertorio di fiabe, i segni della mezzadria che ha trasformato il volto delle nostre campagne, i monasteri e le tradizioni paesane che sopravvivono in un mondo tanto mutato.
La prima rivalutazione del Medioevo risale alla prima metà del XIX secolo con il Romanticismo. In polemica con il razionalismo settecentesco, gli intellettuali romantici accordavano al Medioevo le loro preferenze e vedevano in esso il trionfo di quei valori spirituali che soli possono dare significato alla vita. Il Medioevo è per loro anche il brodo primordiale, dal quale ad un certo punto ha preso vita l'Europa delle nazioni, riottosa a qualunque tentativo di controllo centralizzato, con i suoi tanti popoli dalle identità uniche ed irriducibili.
Ma il Medioevo è anche altro: è, ad esempio, l'ultimo momento nella storia occidentale in cui la natura torna a guadagnare terreno sulla specie umana. Nei secoli tormentati dalle invasioni barbariche le sterminate province dell'impero romano si ricoprono di foreste di faggi, di querce, di carpini, di salici; i fiumi descrivono anse sempre più tortuose fino ad impaludarsi, trasformando in acquitrini vaste pianure un tempo messe a coltura. Lupi, daini, volpi, cinghiali, orsi si aggirano tra le macerie intrise di sangue di una civiltà tramontata. Entrano nelle chiese dalle volte crollate e dalle porte divelte, in un tempo in cui i santi affrontano le fiere con la forza della preghiera e i papi si stringono ai fedeli con la disperazione di chi sa che la fine del mondo è vicina...


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mercoledì 5 settembre 2018

Anno accademico 2018-19 - Corso di storia medievale



ALLE ORIGINI DELL’EUROPA
il Medioevo


prof. Stefano D’Ambrosio

MODULO 1
Sopravvissuti: la difficile convivenza fra barbari e romani
mercoledì 10 ottobre 2018 h. 20,00-22,00


MODULO 2
Un dovere assoluto: Giustinano rifà l’impero
mercoledì 24 ottobre 2018 h. 20,00-22,00


MODULO 3
Guardare avanti: Italia, terra longobarda
mercoledì 7 novembre 2018 h. 20,00-22,00


MODULO 4
La riscossa dei beduini: l’Islam conquista il mondo
mercoledì  21 novembre 2018 h. 20,00-22,00


MODULO 5
Carlo Magno imperatore d’Europa: il sistema feudale
mercoledì 5 dicembre 2018  h. 20,00-22,00


MODULO 6
Invasioni, anarchia, castelli e conversioni: la fine del primo millennio
mercoledì  19 dicembre 2018 h. 20,00-22,00


MODULO 7
Chiesa e Impero:  investiture, scomuniche e antipapi
mercoledì 16 gennaio 2019 h. 20,00-22,00


MODULO 8
Dio lo vuole: i cristiani alla conquista di Gerusalemme
mercoledì 30 gennaio 2019 h. 20,00-22,00


MODULO 9
L’Italia contro: l’eterna lotta tra guelfi e ghibellini
mercoledì  13 febbraio 2019 h. 20,00-22,00


MODULO 10
Il duro colpo della peste: squilibri, proteste e insidie
mercoledì 27 febbraio 2019 h. 20,00-22,00


MODULO 11
Nazioni e cannoni: il nostalgico tramonto del Medioevo
mercoledì 13 marzo 2019  h. 20,00-22,00


MODULO 12
Il tempo della diplomazia: l’Italia del Magnifico equilibrio
mercoledì  27 marzo 2019 h. 20,00-22,00

mercoledì 18 aprile 2018

12 - Roma brucia! Nel tempo della decadenza


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Quando finisce l'età antica?  A scuola ci hanno insegnato che l'evento discrimine fra l'Antichità e il Medioevo è la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e che questo crollo è avvenuto in un anno preciso, il 476. Se esaminiamo più da vicino l'affascinante epoca del Tardo Antico, ci rendiamo però conto di quanto questa affermazione sia arbitraria. In realtà c'è tutto un mondo che sotterraneamente cambia, anno dopo anno, riforma dopo riforma, con momenti di brusca accelerazione e momenti di tranquillizzante stasi, e a volte, neanche tanto raramente, con illusori tentativi di inversione di marcia e di ritorno al passato. Ma tutto lentamente sta scivolando: il volto dell'impero si contrae in una smorfia che alla fine lo rende irriconoscibile.
Il Medioevo comincia già durante la crisi del III secolo, quando i Romani scongiurano la distruzione della loro civiltà affidandosi ad un esercito sempre più spesso composto da soldati dai nomi strani ed impronunciabili: combattere i barbari opponendo loro altri barbari. La politica della massima apertura funziona per più di un secolo: essa si fonda sulla convinzione che integrare nella 'felicità romana' sia meglio che sterminare. Ma un massiccio afflusso di genti straniere non è privo di conseguenze.
Il Medioevo comincia anche quando l'Impero rinuncia a garantire mobilità sociale e prospettive di arricchimento, legando i sudditi e i loro figli al mestiere che esercitano - fabbri, contadini, artigiani - su cui gravano imposte sempre più esose. Per questa strada si giungerà alla servitù della gleba.
Il Medioevo inizia anche con la distruzione dei templi e la proclamazione del cristianesimo come religione di Stato, con il corollario violento dell'intolleranza religiosa e della lotta all'eresia, sconosciute al mondo antico. Pellegrinaggi e culto delle reliquie sono un altro lascito del Tardo Antico.
Quando si diffonde la notizia che Roma brucia, molti si convincono che il mondo stesso finirà fra le volute di fumo delle macerie incenerite e che le oscure profezie bibliche si stanno realizzando. Ma ad essere sinceri nel 476 non succede niente che non sia accaduto prima centinaia di volte: un militare barbaro, Odoacre, esautora con le armi un imperatore, e si sostituisce ad esso. Solo che questa volta non c'è più un impero da governare. Deposta l'ipocrisia, non resta che inviare le insegne del potere di Roma a Costantinopoli ed accontentarsi del titolo di rex: Roma era caduta già senza quasi fare rumore...
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mercoledì 11 aprile 2018

11 - Il sogno di Costantino: un impero cristiano

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La figura di Costantino rappresenta la cerniera tra mondo antico e mondo medievale. L'eredità che questo imperatore lascia all'Occidente è enorme: con lui la grande civiltà pagana imbocca la strada del cristianesimo, voltando definitivamente le spalle ad un plurisecolare politeismo caratterizzato da apertura e disponibilità religiosa. Intelligentemente, Costantino non attacca frontalmente i culti tradizionali: semplicemente si limita a favorire il cristianesimo, mettendolo al centro delle sue attenzioni riformatrici, al fine di renderlo attraente agli occhi dei Romani. Con lui la gerarchia cristiana comincia ad entrare nell'amministrazione dello Stato, ad esempio nella giustizia, e beneficia di generose fonti di finanziamento: per così dire, l'8 per mille dell'antichità.
Anche per la Chiesa si tratta di un passaggio fondamentale: ora che l'obiettivo non è più sopravvivere in un contesto ostile, ma consolidare ed espandere la propria egemonia culturale e religiosa, è più che mai necessario strutturarsi e chiarire una volta per tutte questioni dottrinarie complesse, che scaturiscono dal confronto fra interpretazioni divergenti delle Sacre Scritture e degli enigmatici gesti di Gesù. E' anzi a quest'altezza storica che si avverte l'esigenza di definire il corpus di testi da considerarsi divinamente ispirati, distinguendoli da quelli spuri. Non è più tempo per nuovi profeti né per una Chiesa accogliente e variegata: solo 4 tra i numerosi Vangeli circolanti (gli 'apocrifi')sono acquisiti come autentici, mentre gli altri vengono respinti nell'area dell'eresia. A volte la linea che separa quest'ultima dall'ortodossia è così sottile da risultare difficilmente comprensibile agli studiosi contemporanei: come nel caso del Vangelo di S. Giovanni, che appare per tanti aspetti teologicamente più vicino ad alcuni Vangeli apocrifi che ai sinottici (Luca, Matteo e Marco).
Costantino pone le basi per la diffusione e il radicamento irreversibile del cristianesimo nell'area dell'impero. Quanto la Chiesa abbia poi dominato la successiva età del Medioevo, divenendo centrale nella storia dei successivi mille anni, non è necessario ricordarlo. Ma al regno di Costantino vanno anche ricondotti comportamenti e valori che saranno propri del Medioevo: ad esempio il culto delle reliquie e il pellegrinaggio nei luoghi santi della vita, della passione e della morte di Gesù. Corone di spine, schegge della croce, chiodi che straziarono le carni del Salvatore, e tanti altri reperti e souvenir diventeranno oggetto di una venerazione sconfinata e accreditati di produrre miracoli. Ritroviamo in questi gesti le caratteristiche più tipiche di un Medioevo misterioso e affascinante...
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martedì 27 marzo 2018

10 - Sull'orlo del baratro: dal principato al dominato



Non sono chiare le ragioni per cui Marco Aurelio, l'imperatore filosofo, interrompe la tradizione degli imperatori per adozione, che si era dimostrato un efficace strumento di selezione dei candidati alla guida dell'impero. Con la designazione di Commodo, suo figlio, si ritorna al principio di successione dinastica. Sull'oscurità che avvolge questa scelta e sulla sua apparente contraddizione con la profondità e saggezza di Marco Aurelio, Hollywood ha potuto costruire un colossal come Il gladiatore, immaginando un padre desideroso di restituire il potere al popolo di Roma e un figlio degenerato che si spinge fino al limite del parricidio.
Qualunque cosa sia successa allora, la solidità dell'impero romano nel III secolo si rivela più apparente che reale. La dinastia dei Severi si appoggia sull'esercito, favorendo sistematicamente un'istituzione che sempre più appare l'arbitro supremo dei giochi di potere.  Ad un certo punto, tra il IV e il V secolo, si potrà perfino dire che l'impero romano coincide con il suo esercito, tanto è smisurato nelle dimensioni e tanto è grande il suo potere di condizionamento nelle decisioni politiche: e il popolo sembrerà allora nato per servire l'esercito, non viceversa. Le casse dello Stato si svuotano e questi imperatori, paradossalmente, muoiono per mano dello stesso esercito che hanno blandito.
Durante la crisi del III secolo scoppia la gravissima crisi dell'anarchia militare. Decine di imperatori effimeri, acclamati immancabilmente dalle truppe, si affrontano sui campi di battaglia, senza quasi curarsi di insediarsi a Roma: sono impegnati in una lotta senza quartiere per affermare la propria autorità. Ne approfittano le popolazioni barbariche, che, in un'età di grandi migrazioni, dilagano entro i confini dell'impero, assediando, incendiando, depredando intere regioni. Si giunge fino al punto della secessione di grandi province che, non difese dallo Stato, si autoproclamano regni indipendenti: il regno delle Gallie e il Regno di Palmira. Aureliano fa erigere una cinta muraria intorno a Roma perché ormai nessun luogo sembra al sicuro.
Con gli imperatori illirici la stabilità viene ripristinata: fra questi, Diocleziano sembra quello più consapevole della gravità della situazione. Le sue riforme, che coinvolgono tutti gli aspetti dello stato, sono un tentativo disperato di ridare compattezza all'impero. A partire dalla riforma della tetrarchia, che intende stabilire con chiarezza le regole della successione, riproponendo in forma modernizzata la formula vincente degli imperatori per adozione.
Guardando indietro dalla nostra prospettiva, ci sentiamo di dire che quelle riforma si dimostrarono fallimentari. La rinascita dello Stato sarebbe passata attraverso un percorso ancora più radicale: la trasformazione di Roma in un impero cristiano.


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lunedì 15 gennaio 2018

6 - Varcare il Rubicone: il fatale dado di Cesare



Cesare matura la convinzione che l'architettura istituzionale della repubblica, adeguata ai tempi di  una città stato, non sia in grado di amministrare in modo efficiente ed equilibrato un vasto impero mediterraneo, forse avviato a diventare uno stato i cui confini abbraccino l'intero ecumene. Porta avanti allora un piano coerente e sistematico per scardinare questo sistema, saldamente protetto dalla élite senatoria degli ottimati, poggiandosi sull'altro grande attore della storia romana: il popolo. La parte dei conservatori, in questo capitolo, è recitata da personaggi del calibro di Marco Tullio Cicerone, Marco Porco Catone il giovane (poi noto con l'appellativo 'uticense', dal luogo in cui si suicidò) e dai cesaricidi Bruto e Cassio. Tra i conservatori il nome di Gneo Pompeo, in fondo, stona:  in effetti, è solo la sua personale contrapposizione a Cesare che lo costringe a militare tra le file degli ottimati, quando invece la natura della sua azione politica appare non dissimile, per finalità e metodi, da quella dello stesso Cesare. Anzi, si può sostenere in modo convincente che il primo romano ad assumere pose caratteristiche di quello che in seguito sarà definito 'imperatore' è proprio Pompeo.
Dopo aver fatto di sé un eroe popolare ed aver sgominato tutti i suoi nemici, Cesare tentò la strada della pacificazione nazionale esercitando la sua proverbiale clementia. Non aveva fatto i conti con quanto profonde fossero le risonanze che il sostantivo 'dittatore' generava nell'animo dei Romani più sensibili e dalla memoria storica più salda. Lascia ai suoi successori una lezione imprescindibile sul valore politico della propria immagine personale. Una lezione che qualcuno è già pronto a raccogliere...

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