mercoledì 15 novembre 2023

6.2 - Effetto domino: il conflitto che nessuno voleva e tutti preparavano.

 

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All’inizio del Novecento l’Europa si guardava allo specchio e si compiaceva del proprio splendore.
Le capitali brillavano di luci elettriche, le borse di valori sembravano promettere ricchezza infinita, e la fede nel progresso tecnico aveva sostituito quella nei miracoli. Mai, pensavano, la civiltà era stata così solida. Mai così sicura di sé.

Eppure, sotto la superficie, tutto era pronto per crollare.
Gli imperi si fronteggiavano in una pace armata che sapeva più di tregua che di equilibrio; le alleanze si moltiplicavano come ragnatele, e dietro ogni accordo si nascondeva il sospetto di un tradimento.
Nei Balcani covava la rabbia dei popoli, nelle cancellerie l’orgoglio delle potenze, nei giornali l’esaltazione patriottica. Nessuno voleva la guerra, ma tutti la resero possibile.

Bastò una pistola, un corteo, una coincidenza.
L’attentato di Sarajevo fu soltanto la scintilla: il vero incendio era già acceso da anni, e aspettava solo un soffio per divampare. In poche settimane l’Europa precipitò nell’assurdo — monarchi cugini si dichiaravano guerra, nazioni intere partivano verso un fronte che nessuno riusciva più a spiegare.

La chiamarono “Grande”, ma non aveva nulla di grandioso.
Fu una carneficina industriale, un laboratorio di orrore moderno. I gas, i cannoni, le trincee: la tecnica, per la prima volta, mise la sua efficienza al servizio della distruzione.

In questa lezione proviamo a capire come sia potuto accadere.
Come un secolo che si credeva adulto sia potuto tornare all’infanzia della violenza; come la politica si sia fatta meccanismo cieco, e la diplomazia catena di automatismi.
La storia della Grande guerra non è solo la cronaca di un conflitto: è il racconto del limite dell’uomo, della sua incapacità di dominare le forze che egli stesso ha messo in moto.

E nel silenzio delle trincee, tra il fango e il ferro, l’Europa imparò — troppo tardi — che il progresso, senza coscienza, non è civiltà.