Che cosa resta di un continente devastato quando i cannoni tacciono?
In questa lezione attraversiamo l’Europa degli anni Venti, quel decennio che porta con sé i fantasmi della Grande Guerra e li trasforma in nuove, inattese inquietudini.
Inghilterra, Francia, Italia: tre traiettorie diverse, unite però da un medesimo sottofondo di spaesamento e di ricerca di senso.
Dalla nascita dei grandi movimenti di massa — socialisti, comunisti, fascisti — fino ai manifesti propagandistici che gridano parole d’ordine tra speranza e paura, scopriamo come la politica diventi anche spettacolo, simbolo, religione laica.
Il Comintern con i suoi ventuno punti, l’ascesa del Partito Laburista britannico, la spaccatura del socialismo italiano a Livorno: ogni nodo ci rivela una stessa tensione profonda tra vecchio e nuovo, tra riforme graduali e rivoluzioni violente.
Ma questa crisi è anche culturale. L’arte getta alle ortiche ogni residuo di ottimismo borghese: Otto Dix e George Grosz mostrano corpi mutilati, anime spezzate; Magritte frammenta il volto umano, mentre Picasso lascia piangere figure cubiste.
Perfino la musica si fa dissonanza: la dodecafonia di Schönberg rompe l’antico ordine tonale, specchio di un’Europa che non trova più un centro armonico.
Non mancano le ferite invisibili: la Spagnola, epidemia dimenticata, cancella milioni di vite mentre il mondo prova a tornare alla normalità. E intanto nelle colonie, dall’India di Gandhi alla Palestina britannica, ribollono semi di indipendenza che finiranno per incrinare gli ultimi imperi.
C’è, in questo dopoguerra, un interrogativo che si insinua ovunque: come può l’uomo ritrovare un’identità, quando il passato non è più rifugio e il futuro è un orizzonte conteso tra promesse ideologiche e crisi economiche?
Kafka lo sa bene: nel suo Castello, incompiuto come tante aspirazioni di quell’epoca, l’uomo si aggira tra burocrazie inespugnabili, smarrito di fronte a un potere senza volto.
Questa lezione non è solo un inventario di date o di eventi: è un invito a cogliere il battito profondo di un tempo in bilico, dove ogni progresso tecnico e ogni rivoluzione politica nascondono fratture, paure, desideri di ricominciare.
Un tempo non così lontano da noi, se pensiamo a quante crisi d’identità attraversiamo ancora oggi.
Sediamoci insieme, dunque, a leggere questi anni ruggenti e fragili, a osservare volti e manifesti, quadri e discorsi.
Perché è nel dopoguerra — quando la Storia si rimette in moto — che spesso possiamo capire chi siamo davvero.
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