venerdì 15 marzo 2024

6.6 - Il mondo alla rovescia: capitalismo in default, comunismo in crescita.

 

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All’inizio sembrò solo un rumore.

Un brusio di cifre, un tremolio di voci, un vento sottile che soffiava tra le vetrate di Wall Street. Poi, in poche ore, il rumore divenne boato, e il boato silenzio.
Gli uomini in giacca e cravatta fissavano i tabelloni come se guardassero il cielo crollare. E in un certo senso, stava davvero crollando.

L’America, che aveva creduto di poter misurare la felicità in dollari, scopriva di colpo la vertigine del vuoto.
Le macchine si fermarono, le fabbriche tacquero, le banche si chiusero come scrigni prosciugati. E il mondo, che da vent’anni correva al ritmo del capitalismo trionfante, si ritrovò sospeso nel silenzio della crisi.

Il 1929 non fu soltanto la fine di un ciclo economico.
Fu una crepa nel mito del progresso.
Un improvviso risveglio da un sogno troppo lungo.

Mentre l’Occidente contava i fallimenti, a est un’altra fede prendeva forma.
Le ciminiere di Mosca si alzavano come torri di un nuovo tempio; gli operai diventavano eroi, la pianificazione una religione.
Lì dove l’individuo si piegava, lo Stato si ergeva.
Lì dove il mercato falliva, il piano quinquennale prometteva redenzione.

In questa lezione attraversiamo quel passaggio d’epoca: il tempo in cui il capitalismo entrò in default e il comunismo conobbe il suo momento di grazia.
Non giudichiamo, ma osserviamo.
Non cerchiamo colpevoli, ma cause.
Perché ogni crisi economica è, prima di tutto, una crisi di fiducia: fiducia nel denaro, nel lavoro, nel futuro.

E forse, nel fondo di quella depressione, il Novecento ha lasciato scritto il suo più grande ammonimento:
che nessun sistema, per quanto solido, sopravvive a lungo se dimentica l’uomo.