Da molto tempo la storiografia contemporanea si sforza di ribaltare il giudizio negativo che gli uomini dell'Umanesimo e del Rinascimento espressero usando per primi la parola 'Medioevo'. Ai loro occhi tra la civilissima età antica e il raffinato mondo delle signorie cinquecentesche si estendevano dieci secoli di sprofondamento nell'ignoranza, nella superstizione e nella barbarie. Una lunghissima età di mezzo, che aveva interrotto la normale dinamica di confronto dialettico, di dialogo, di imitazione ed emulazione di una generazione rispetto ai valori di quella precedente e, più in generale, di rapporto fecondo con la cultura passata. Dopo secoli di sviluppo progressivo e costante, l'umanità aveva conosciuto in tutti i campi un deciso arretramento, dal quale si era potuta riscuotere solo a fatica dopo mille anni.
Non da oggi, gli storici si sforzano invece di sottolineare quanto invece il Medioevo rappresenti una civiltà originale e dinamica, ricca di energie e capace di straordinarie innovazioni tecnologiche, culturali, sociali, economiche, spirituali. Molte di questo innovazioni fanno ancora parte del nostro mondo: le cattedrali, i comuni, le banche, gli strumenti finanziari, i concetti di cortesia e cavalleria, uno sterminato repertorio di fiabe, i segni della mezzadria che ha trasformato il volto delle nostre campagne, i monasteri e le tradizioni paesane che sopravvivono in un mondo tanto mutato.
La prima rivalutazione del Medioevo risale alla prima metà del XIX secolo con il Romanticismo. In polemica con il razionalismo settecentesco, gli intellettuali romantici accordavano al Medioevo le loro preferenze e vedevano in esso il trionfo di quei valori spirituali che soli possono dare significato alla vita. Il Medioevo è per loro anche il brodo primordiale, dal quale ad un certo punto ha preso vita l'Europa delle nazioni, riottosa a qualunque tentativo di controllo centralizzato, con i suoi tanti popoli dalle identità uniche ed irriducibili.
Ma il Medioevo è anche altro: è, ad esempio, l'ultimo momento nella storia occidentale in cui la natura torna a guadagnare terreno sulla specie umana. Nei secoli tormentati dalle invasioni barbariche le sterminate province dell'impero romano si ricoprono di foreste di faggi, di querce, di carpini, di salici; i fiumi descrivono anse sempre più tortuose fino ad impaludarsi, trasformando in acquitrini vaste pianure un tempo messe a coltura. Lupi, daini, volpi, cinghiali, orsi si aggirano tra le macerie intrise di sangue di una civiltà tramontata. Entrano nelle chiese dalle volte crollate e dalle porte divelte, in un tempo in cui i santi affrontano le fiere con la forza della preghiera e i papi si stringono ai fedeli con la disperazione di chi sa che la fine del mondo è vicina...
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