mercoledì 13 febbraio 2019
9 - L'Italia contro: l'eterna lotta tra guelfi e ghibellini
Nel nostro immaginario relativo al Medioevo, accanto ai castelli, ai cavalieri, alle giostre e alle donne angelo di stilnovistica memoria, c'è un posto assicurato alle continue guerre che nel corso di 150 anni contrapposero in Italia due fazioni irriducibili: quella dei guelfi e quella dei ghibellini. Non esiste letteralmente studente che, affrontando la vita di Dante Alighieri o applicandosi alla lettura della Divina Commedia, non si sia imbattuto anche solo per sbaglio nella stagione degli esili, dei ribaltamenti di fronte e delle alleanze fra Comuni gemellati, auspice la comune fede guelfa o ghibellina. Ma da dove traggono origine questi termini e cosa significano?
Contrariamente a quanto molti pensano, le etichette storiche di 'guelfi' e 'ghibellini' non nascono in Italia, bensì in Germania. Il loro terreno di coltura sono le guerre di successione dinastica che si scatenano alla morte dell'imperatore Enrico V nel 1125, cioè subito dopo la tregua siglata dalla Chiesa e dall'Impero nella logorante lotta per le investiture (Concordato di Worms, 1122). Il mondo germanico si polarizza intorno a due potenti famiglie dell'aristocrazia feudale, che si danno battaglia per occupare il trono vacante: gli Hohenstaufen, duchi di Svevia, il cui quartier generale è il castello di Waiblingen; e i duchi di Baviera, la cui base è il castello di Welf. Questa partita si conclude con l'affermazione di Federico I di Svevia, soprannominato il Barbarossa, ma la fortuna dei due toponimi 'Waiblingen' e 'Welf' valica i confini della Germania per attecchire in Italia. Quale Italia?
L'Italia dei Comuni. La fioritura dei Comuni italiani è proprio legata alle vicende tedesche, ed in particolare alla disgregazione profonda che il Sacro Romano Impero di nazione germanica sperimenta dopo la stagione di rinnovata vitalità dell'età ottoniana. Il punto più basso di questa disgregazione della struttura feudale dello Stato si consuma proprio nelle lotte di successione dinastica appena citate. Ne approfittano le città italiane, che vivono una vera e propria rinascita dopo l'anno Mille e, dotandosi di uno statuto, danno vita ai Comuni. La loro esistenza costituisce un atto di disubbidienza e di illegalità rispetto alle norme del diritto feudale. Per questa ragione, non appena il rex Germanorum, dopo aver ridotto all'obbedienza i baroni tedeschi, è nelle condizioni di poter intervenire, scende in Italia per ristabilire il controllo su un territorio in preda, dal suo punto di vista, all'anarchia. Ecco allora che proclamarsi 'ghibellino' ('waiblingen') significa schierarsi dalla parte dell'imperatore e del suo diritto di regolare la vita politica italiana. In modo complementare, dichiararsi 'guelfo' ('Welf') significa contrastare l'imperatore, facendo perno sull'altra autorità presente sul suolo italiano: quella del papa.
Va detto che Federico Barbarossa si muove bene in Italia: fa leva sulle eterne diffidenze che lacerano il quadro politico comunale, presentandosi agli occhi dei Comuni più piccoli come il baluardo dagli attacchi predatori dei Comuni più grandi e potenti. Cinge la corona di ferro e poi si fa incoronare imperatore da Adriano IV, in cambio di un intervento di repressione nei confronti del tribuno Arnaldo da Brescia, leader di una rivolta popolare contro il potere pontificio, il quale finirà sul rogo. Proprio sul più bello, Federico è costretto a ripiegare in Germania per sedare una rivolta di baroni, che hanno rialzato la testa approfittando della sua lontananza. Qualche anno dopo (siamo ormai nel 1158) Federico ci riprova: scende in Italia, convoca la seconda dieta di Roncaglia e mette in chiaro le cose: i Comuni devono accettare un legato imperiale e rinunciare alle regalìe che hanno usurpato. Milano e Crema, che osano disobbedire, ne pagano le conseguenze e vengono elevate ad esempio eloquente della determinazione dell'imperatore: assediate e vinte, vengono rase al suolo.
A questo punto è la Chiesa a prendere in mano la situazione: morto Adriano IV, il nuovo papa Alessandro III - memore del già citato scontro fra Chiesa e Impero, ovvero la 'lotta per le investiture' - ha le idee chiare riguardo alla necessità di scongiurare una presenza eccessivamente forte dell'Impero in Italia. Si dedica allora ad una iniziativa inedita: coordinare e presiedere una lega di Comuni in funzione anti imperiale. Ventidue Comuni vi aderiscono e ricambiano il sostegno ricevuto edificando una città-fortezza, ad eterna gloria del nome del papa: Alessandria. Costituita la Lega lombarda, giunge il momento dello scontro: Federico Barbarossa torna in Italia, convinto di poter replicare il successo di qualche anno prima. Si illude: al suono della martinella, confortati dal simbolo del carroccio, i Comuni ottengono un successo militare insperato e vengono trascinati alla vittoria dall'eroica (e forse leggendaria) figura di Alberto da Giussano e della sua compagnia della morte.
I guelfi hanno trionfato e l'imperatore è costretto ad accettare l'indipendenza sostanziale dei Comuni italiani. La partita fra guelfi e ghibellini non è affatto finita. Ci sarà un secondo tempo; e, neanche a dirlo, a giocarla - dalla parte imperiale - sarà un altro famosissimo Federico, nipote del Barbarossa, un uomo che sarà definito l'Anticristo: Federico II di Svevia...
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